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AUTOBIOGRAFIA INDUSTRIALE (C. LOLLI, 1950-2018)




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ARGOMENTO: AUTOBIOGRAFIA INDUSTRIALE (C. LOLLI, 1950-2018)
AUTOBIOGRAFIA INDUSTRIALE (C. LOLLI, 1950-2018) 6 Anni 11 Mesi fa #1
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AUTOBIOGRAFIA INDUSTRIALE (1) (Una possibile lettura del testo di Claudio Lolli, 1950-2018)
Tra quelle di Lolli questa canzone (qual è la distinzione dalla poesia a questi livelli?) rappresenta per me quella che maggiormente pone il problema attualissimo del senso personale da imprimere alla cultura. Fin dalle prime battute il poeta\cantautore\narratore si pone in una posizione di conflitto ed estraneità rispetto al mondo della cultura che qui è rappresentata dall’ industria discografica. È questa a meravigliarsi di chi gli appare davanti quasi a presentirne un insulto, una sfida per l’ordine costituito. Non per niente la mente va diritta al XXI canto dell’Inferno. Non si fa fatica a leggere sui volti che sghignazzano la genia degli Alichino, Malacoda and company, padroni del cerchio dei barattieri\ concussori dove arriva il pellegrino in carne ed ossa correndo il rischio di essere scambiato per uno da calare nella pece: Ed a lui venni ratto;\ e i diavoli si fecer tutti avanti,\sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto (VV 91-93, Inf. XXI) E ancora: ei chinavan li raffi e: << vuo’ che ‘l tocchi\ diceva l’un con l’altro <<in sul groppone?>> "Il primo giorno, che ho messo un piede alla EMI, mi hanno guardato, sembravano tutti un po' scemi. Qualcuno diceva, che ero il garzone del bar, che aveva lasciato il caffé sulle scale, qualcuno diceva, che non ero normale, qualcuno rideva, rideva ... " sarà quel “demone che tenea sermone” il direttore di cui parla il nostro? Se non lo è poco ci manca, come si fa infatti ad assentire al dissenso guadagnandoci sopra? "Il direttore, una strana espressione sul viso, fece una smorfia che oggi voglio chiamare sorriso, e mi introdusse nel suo studio di uomo arrivato, mi parlò di arcipelago gulag, e mi disse: "Io penso, che oggi sia molto giusto assentire al dissenso, al dissenso...". Certo che all’epoca faceva moda e cassa parlare del dissenso in URSS, ma cosa succedeva dalle nostre parti? "Autobiografia industriale, viva l'amore con l'industria culturale, amore erotico e soddisfacente, ma in definitiva, un po' troppo esauriente." Il discorso sul dissenso dunque si esaurisce lì, all’”Arcipelago Gulag” di Solzenicyn e alla condanna dell’illibertà di cui i sistemi comunisti erano portatori consapevoli. Uno spartiacque divideva in due il mondo ed era giusto, onorevole qualunque discorso\canzone\romanzo\film fosse funzionale alla borghesia e degno di stare sul mercato ma intanto si portavano al rogo l“ Ultimo tango a Parigi” e nemmeno Pasolini se la passava bene con i suoi film che facevano analogie dirompenti e rivelatrici tra il passato prossimo ed il presente come “Salò e le 100 giornate di Sodoma” "L'arrangiatore, dopo avermi ascoltato un pochino, disse "non male, è simpatico quel valzerino, io ci vedrei, sopra un primo e un secondo violino e una viola che piange da sola, perché no, una pianola, qualche cosa che prenda e che stringa alla gola, alla gola". Il tecnico audio, mi squadrò con un ghigno feroce, ma il peggio è stato quando ho fatto sentire la voce, così piena di ragni di granchi di rane, e altre cose un po' strane, una voce da regno dei più, o da festival del sottosuolo, una voce oltretutto che mi accompagnavo da solo." Se Dissenso era la musa accompagnatrice del nostro non poteva mostrarsi per quello che era e dunque bisognava addomesticarla, privarla di innocenza, renderla vendibile e gradevole agli occhi del mercato infine snaturarla persino nella voce. Un peso troppo grande da sopportare: "Autobiografia industriale, viva le tette dell'industria culturale, tette opulente e dissetanti, ma in definitiva un po' troppo pesanti." è qui delineata la contraddizione tra ribellione e subordinazione, la stessa che molti a quel tempo sentirono nelle proprie carni come una spina con cui convivere o da superare. Ad aspettare Godot non era il singolo ma un’intera generazione che aspettava di riscattarsi cucendo la distanza con la classe operaia, che riteneva destinata ad un ruolo liberatorio dell’ umanità. E se questo non è avvenuto, se Godot si è fatto le cose sue è perché la storia non ha la forza della necessità dentro che la sottometta ad un percorso inevitabile, risultando invece ingovernabile e capace di rivoluzioni imprevedibili. "Io a quel tempo, stavo ancora aspettando Godot, cioé aspettavo la morte per poter dire "rinascerò", fatto diverso, collegato d'amore alle masse, più cultura, più lotta di classe, ma Godot non è mai arrivato, si fa le cose sue, ed è meglio così, certo per tutti e due." Se questo è il livello di coscienza raggiunto allora entrare nella casa del nemico ha il senso di volerlo scardinare con i suoi stessi mezzi, fronteggiandolo dal suo interno come “prodotto che non riesce granchè” non certo all’altezza di uno Jagermeister ma come racconto di vita amara, qualcosa che prende la stessa forma della merce rimanendo però “seriamente diverso”, di cui non si può essere fino in fondo soddisfatti . E se questo è l’unico modo per entrare nel gioco della cultura rimarrà sempre aperto il dubbio sulla sua opportunità, sul grado di accettazione del sistema: "Come prodotto, non sono riuscito un granché, vendono certo, molto più Jagermeister di me, ma lo confesso, questo in fondo è un piacere da poco, e non prova che sono diverso, seriamente diverso, come amaro il tuo calice vita, com'è amaro il tuo gioco. " Quali forze allora guidano un intellettuale a bere il latte amaro dell’industria culturale? "Autobiografia industriale, cioè come il latte dell'industria culturale, un latte amaro, molto indigesto, ma soprattutto un po' troppo caro." L’ultimo tocco spetta ad un fotografo di qualità, un Malebranche dalle idee molto chiare sul valore di un velluto “rosso” e di ciò che rappresenta e dunque non vede l’ora di spedirlo nel posto che, secondo la sua gretta visione, si merita insieme al peccatore: "La confezione, con il marchio di verginità, l'hanno affidata a un fotografo di qualità, che in verità, al vedermi rimase perplesso, con quella faccia da fesso potrei fotografarlo, solamente in un cesso, magari con un po' di velluto rosso. " Fortuna del nostro è non avere sulle spalle le colpe di Michel Zanche, ma solamente la capacità di dubbio e un poco dell’astuzia di Ciampolo per beffare il demone "Il primo giorno che ho messo un piede alla EMI, mi hanno guardato, sembravano tutti un po' scemi, ma oggi ho capito che di tutti il più scemo ero io, l'unico che si prendeva sul serio e restava anche male, un incrocio terribile insomma, tra un coglione ed un criminale." che poi è la sana dote di porsi in maniera critica e di emanciparsi anche a costo di “prendersi sul serio” e sembrare un“ incrocio tra un coglione ed un criminale”, dinnanzi al dilemma di quale strada imboccare se di fronte si ha lo spettro “di dare una mano per mantenere sempre gli stessi rapporti sociali” , cosciente che comunque si scelga sarà destinato a non essere quella buona in assoluto "Autobiografia industriale, come inserirsi nell'industria culturale, cioé come possono gli intellettuali, dare una mano, per mantenere gli stessi rapporti sociali." Un gran testo come tutti gli altri dell’album, probabilmente misconosciuto che, secondo il sottoscritto, continua a porre la stessa domanda a chiunque affacciandosi sulla sua epoca voglia sul serio rappresentare qualcosa all’interno delle grandi macchine da guerra dell’industria culturale che non sappia unicamente di usa e getta. Non desta perciò meraviglia che da almeno vent’anni scorrendo le liste dei CD negli scaffali dei grandi negozi di dischi e negli ipermercati quelli di Claudio Lolli siano quasi del tutto assenti, almeno dalle mie parti. (1) Dall’album “Disoccupate le strade dai sogni, 1977 (Ed.Ultima spiaggia) |
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