Persa nei labirinti della mente,
su e giù senza trovar l'uscita,
in deformanti specchi priva di senno,
vagavo senza identità e smarrita.
Un lucidità barcollante ebbra di vino
in bollenti coppe cocenti di dolore,
fra cenci umani persi nella notte,
si smarriva in gabbie unte d'orrore.
Fragile donna o poetessa matta,
scrivevo versi e rime per la gente:
parole per alcuni senza senso,
partorite da un'offuscata mente.
Il mio corpo scialuppa alla deriva,
m'abbandonava in preda alla mia sorte.
Un vuoto mi affamava dentro:
scarna miseria simile alla morte.
Di pareti scure si tingeva il giorno
uguale alla notte ad armi pari.
Senza sole, al buio e senza porte
fra noi spenti, i giorni erani uguali.
Quando poi la ragione ritornava,
e mi liberavo di qualche peso morto;
approdavo naufraga su un'isola
o come la nave nel suo porto.
Un giorno mi pareva una vita intera:
non sapevo mai...se fossi finta o vera.
Dietro fredde sbarre imprigionata,
echeggiava la mia mente malata.
Fissavo la parete e senza voce,
rassegnata portavo la mia croce.
Scrivevo poesie e sul muro nero,
sbocciava un fiore a ogni pensiero.
Non guardavo dietro, né andavo oltre:
nel fumo scuro della mia pesante coltre.
Troppo spesso ho perso il percorso:
non distinguevo ieri dall'anno scorso.
Districavo matasse nei labirinti della mente,
con una fiaccoletta a malapena accesa.
Un moccolo mi si consumava nelle mani
e percorrevo spesso strade in discesa.
Poi tornavo ad arrampicarmi e ad ogni passo,
trovavo ostacoli coperti da un masso.
Scrivevo sì, piena di passione poetavo.
A modo mio...forse malamente amavo.
Quando poi tornavo guarita dai miei mali,
fra coleotteri grigi e farfalle senz'ali;
mi ritrovavo a trascorrere giorni tutti uguali,
fra i cosiddetti esseri...normali.
su e giù senza trovar l'uscita,
in deformanti specchi priva di senno,
vagavo senza identità e smarrita.
Un lucidità barcollante ebbra di vino
in bollenti coppe cocenti di dolore,
fra cenci umani persi nella notte,
si smarriva in gabbie unte d'orrore.
Fragile donna o poetessa matta,
scrivevo versi e rime per la gente:
parole per alcuni senza senso,
partorite da un'offuscata mente.
Il mio corpo scialuppa alla deriva,
m'abbandonava in preda alla mia sorte.
Un vuoto mi affamava dentro:
scarna miseria simile alla morte.
Di pareti scure si tingeva il giorno
uguale alla notte ad armi pari.
Senza sole, al buio e senza porte
fra noi spenti, i giorni erani uguali.
Quando poi la ragione ritornava,
e mi liberavo di qualche peso morto;
approdavo naufraga su un'isola
o come la nave nel suo porto.
Un giorno mi pareva una vita intera:
non sapevo mai...se fossi finta o vera.
Dietro fredde sbarre imprigionata,
echeggiava la mia mente malata.
Fissavo la parete e senza voce,
rassegnata portavo la mia croce.
Scrivevo poesie e sul muro nero,
sbocciava un fiore a ogni pensiero.
Non guardavo dietro, né andavo oltre:
nel fumo scuro della mia pesante coltre.
Troppo spesso ho perso il percorso:
non distinguevo ieri dall'anno scorso.
Districavo matasse nei labirinti della mente,
con una fiaccoletta a malapena accesa.
Un moccolo mi si consumava nelle mani
e percorrevo spesso strade in discesa.
Poi tornavo ad arrampicarmi e ad ogni passo,
trovavo ostacoli coperti da un masso.
Scrivevo sì, piena di passione poetavo.
A modo mio...forse malamente amavo.
Quando poi tornavo guarita dai miei mali,
fra coleotteri grigi e farfalle senz'ali;
mi ritrovavo a trascorrere giorni tutti uguali,
fra i cosiddetti esseri...normali.