Caput duodecimum
La settima stanza
-In cerchio le foglie d’autunno
Condivido le giornate oramai da degli anni con un’ernia cervicale che mi tarpa le ali, un dolore lancinante come se qualcosa si lacerasse tra il collo e la schiena.
Come un’ala recisa, quando la notte il cielo di ardesia e gesso sul soffitto si scarabocchia di una nuova idea delicata.
Allora guardo l’orologio col timore che possa essere uccisa da un ticchettio o da uno starnuto, uno sbadiglio.
Solitamente viene spaventata dal movimento del mio sopracciglio sinistro, in tal guisa, con garbo nelle mani a conca la porto con me sullo scrittoio.
«Non siamo ancora alla fine»
“Ssht, la farai scappare… così sei nato anche tu”
«Quando i bucaneve alla finestra allungheranno i petali a conservare lo stato delle cose, la tua condizione ti sembrerà sprofondare nell’immobilismo sul foglio bianco della prima neve» Samaèl seduto all’angolo, sorseggiando il caffè oramai freddo
«…è allora che scriverai quell’ultima frase»
Nello studiolo niente altro che la capinera sul desktop che becca la cinciallegra. Nessuna mail di qualcosa di simile a una casa editrice.
È stato allora.
Non resistetti e aprii il tomo… con tutta la sua oscurità, e ne fui risucchiato.
Nell’enorme spiazzo di pietruzze accanto alla locanda, a pochi passi dal capanno un fazzoletto di terra. Non un albero, non un fiore neanche un filo d’erba cresce all’interno nei limiti del cerchio. Solo appassimento e morte che dal centro si espandono fino ai suoi confini.
Questa notte di solstizio d’inverno dal finestrino abbassato Samaèl osserva poco lontano, quando si apre lo sportello della Volga nera
«Non saresti dovuta venire»
<Non avresti dovuto permettermi di sentire i tuoi pensieri…>
«Benedetta, ascoltami bene. Porta via Adamantina, e il…»
<Sarà un bambino fortunato. Avrà due genitori che lo ameranno>
Sul sedile posteriore la bambina del crinale con la bocca sporca di wafer, in silenzio.
<Chi è lei?> Benedetta, salendo non l’aveva vista.
«E’ chi il lettore vuole che sia» tacendo il susseguente esergo in una smorfia.
«Io non so amare, non più…»
<Fa ciò che va fatto, e torna da loro. Imparerai di nuovo, col tempo>
Sentì il candore della neve nella carezza di lei.
Ora era davvero solo.
Un essere intonso camminando in circolo intorno all’anello
‘ Mi ecciterete da morti… Sentite di nuovo quel ru-mo-re?
Narratelo!
E indovinate… chi-è-mor-to? ’
I ratti del capanno a quella cantilena contavano le briciole di follia tra quelle di pane.
‘ Samaèl… non ti aspettavo.
Hai fatto bene a venire. Sai che faremo!?
Scompariremo proprio al centro del cerchio poco prima dell’alba.
In questa notte di luna piena mi pregherai di portarti con me all’inferno ’
Le foglie cadevano ai bordi del cerchio. Al centro come un bisbiglio dal capestro mosso appena dal vento, della forca nello spasmo d’un piede in fondo al tronco del figlio della locandiera.
Samaèl era inginocchiato, ricoperto dal fogliame fino al costato.
‘ Reprobi angelus… Non dovevi venire solo.
Mi man-che-rai da morto ’
«Non narro le cose. Narro solo le differenze tra le cose.
E non sono solo…»
Nella risata irridente di Lucifero c’era tutto il tormento di Samaèl.
«Adesso autore, scrivila adesso quella frase! »
Dalle pagine del Tomo, quelle ancora da scrivere
“Se sei lì seduto, come fai sempre quando non sono allo scrittoio…
Figliolo, torna poco indietro dalla quarta di copertina. Non mi arrabbierò, e ripercorri con la tua innocenza quell’unica frase sottolineata”
Leggeva senza comprendere, e senza comprendere con i suoi tredici anni obbedendo al padre scriveva
SOGNO DI SCRIVERE E POI SCRIVO IL MIO SOGNO
Un cilindro compatto e trasparente ingoiò Lucifero tra le foglie cadute.
Si chiuse il sigillo, qualcuno presunse per sempre.
Se abbandonassimo tutti l’idea di credere nel diavolo forse i cuori sulla soglia entrerebbero a rincorrersi con le anime felici, chiudendo la porta e restandoci per sempre.
Nel palmo di Samaèl la mano di Benedetta
<Alzati angioletto…> sorridendo al rumore del suo cuore
<…ora batterà come si deve>
Dove la statale di Varsavia profuma di cannella e zenzero, sul cippo del chilometro 13 un cappello plumbeo. Dal camposanto una lagna
Regge il fio dei giorni / per la tela tra le dita. / Pone sulla rocca il pennacchio, / filatrice della vita. /Uno due e tre Moire / Cloto non la puoi sentire.
Taglia con le fòrfici / quando giunge il momento / di arrestare la vita. / La tela si scinge al vento. /Uno due e tre Parche / Lachesi non la puoi capire. / Atropo decide quando morire
(in tomo immobilitas)
-----l’incipit nasce leggendo un pensiero di Charles H. Brower
-----la cantilena di Lucifero è un backmasking dei Beatles
-----le parole di Samaèl a Lucifero sono ispirate in parte
a una citazione di Henri Matisse
liber primus
Commenti
"È stato allora. Non resistetti e aprii il tomo… con tutta la sua oscurità, e ne fui risucchiato.
(...)
Dalle pagine del Tomo, quelle ancora da scrivere"
Più che all'interno della storia, lo scrittore si troverà materialmente all'interno del libro...preambo lo al proseguo che avrà titolo L'autore del Tomo in fase di ultima stesura.
Poi vi è la musa...in adolescenza mi tatuai in lettere greche Erato, fautrice della poesia amorosa.
Grazie per la lettura costante e le opinioni appassionate
Perché il latino? Sono curiosa. Perché è una lingua celebrativa?
Il latino... tutto nasce da una scoperta che feci, il Codex Gigas o Bibbia del Diavolo in lingua latina. Mi colpì l'associazione del sacro libro col demonio. Da qui l'idea del Tomo che etimologicament e è la sezione di un qualcosa di più grande mentre il termine bibbia è un insieme di libri.
Grazie