Ascoltavo i suoni che in una notte come questa cambiano melodia nel candore che attutisce i passi sul poggiolo, mentre vedevo il tuo dolore allungarsi come una foglia bagnata. Calpestata. E farsi sottile. Quasi piccino. Come il fiocco di neve che stavo per accompagnare con la mano nel fiato caldo di un respiro.
Appena avrò terminato di masticare tabacco e di soffiare nello studiolo il freddo dal poggiolo, non appena smetterai di sentirti un libro dal quale si cancellano le parole e resta solo l’odore di vecchia carta ingiallita che ti riempie i polmoni, partiremo. Prendimi il braccio, e cerca di sopportare il peso delle tue nuvole. E scrivi, assecondando quel debole per le parole. Consegna alle pagine di quel libro i tuoi segreti, nella sua filigrana scorre il tuo stesso sangue.
In un turbine di minuti cristalli danzeremo con gli abiti irrorati di gocce, e da una soffice nebula ci ritroveremo nell’angolo rischiarato di quella parte del giorno che non ti appare più famigliare. Io resterò come un vocabolo immobile sulla carta, tra l’inchiostro.
E al mio risveglio, sulla sedia davanti alla finestra aperta starnutirò per un fiocco di neve che mi solletica il naso e indiscreto si infila nel tiretto che odora di soffitta. Come quel sogno che da tutta la vita porto con me a sinistra sotto la giacca. Mi guardi dal bianco e nero di una fotografia che dovrebbe stare nel cassetto di qualcun altro, tu…
Tu che sei il brillio fermo di una lampara nell’inconsapevolezza della nebbia.
-una di quelle vecchie foto... che la trovi e ricordi, e pensi sia “la luce che è venuta fuori
da una tenebra caduta” (Alda Merini)
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