Una luce lurida gronda dalle stecche delle veneziane. Il copione è sempre il medesimo: si formano all'alba belle nuvole che potrebbero donare un po’ di pioggia e di refrigerio, ma presto sono dissolte e sostituite da scarabocchi, da venti sterili. Contemplare il cielo significa ogni volta affondare le pupille e la mente nell’orrore, eppure tale abominio è solo una parte minima del Male assoluto che calpesta e schiaccia impunemente gli esseri. L’esistenza è lacerata dai patimenti, ottusa dalla noia, intorbidita dalla ripugnanza. L’aria morta penetra nelle fibre logore di minuti tutti uguali, opachi. Ci si desta al mattino con la bocca impastata di sogni appiccicosi, con il pensiero rattrappito nelle consuete ossessioni, invischiato nella ragnatela di domande assertive, senza neanche più l’uncino del punto interrogativo: tale è la consapevolezza che il mondo è solo un macello con una facciata di cartapesta da albergo a cinque stelle. Sì, un mattatoio in senso sia letterale sia metaforico, un cumulo di carcasse e di corpi feriti, sanguinanti.
Può sembrare ingeneroso questo giudizio nei confronti del Creato, impreziosito da luccicanti meraviglie, eppure è arduo non coprirsi occhi, orecchie e narici per non percepire le lividure e i miasmi della putrefazione. Ogni istante è una goccia di acido sulla carne della realtà: le speranze si liquefanno prima in illusioni, poi in disinganni, le parole schiumano, la fede si infistolisce, i pensieri si aggrumano, le emozioni formano coaguli che ostruiscono le arterie dell’attesa. Il silenzio è squartato dagli urli striduli delle sirene - uomini e donne, giovani e anziani, gli organi danneggiati da un elisio elisir - lo scenario si gremisce di pacchiane antenne e pale eoliche là dove svettavano alberi frondosi.
La stessa lama dentata che sega i tronchi, recide le vene del cuore in una foga distruttiva ed autodistruttiva, in un impeto di castrazione. E’ una furia che si ritorce contro chi ne è preda sicché il confine tra omi££cidio e sui$$cidio si cancella. L’unica estasi che ci è concessa è il rantolo liberatorio dell’istante finale. L’unica consolazione è evacuata dalle filosofie positive del “tutto è Uno”, “tutto è perfetto”, ma sono escreti pieni di pus, salive sature di edulcoranti artificiali.
Riflettere significa eviscerare l’universo. Lo squadriamo con occhi clinici, lo esaminiamo con sonde che penetrano in profondità innominabili, lo dissezioniamo con pinze, divaricatori, sgorbie… Alla fine lo copriamo con un freddo lenzuolo. In questo freddo obitorio, chiamato “vita”, splendono luci al neon. Prima, dopo, adesso: Ade. Esterno ed interno: il medesimo inferno.
Commenti
tale fortuna a rimirar il lucente pulsar delle lucciole che infonde tanta serenità nell'anima e nel cuore!
Umo sguardo di Salvezza e di Buona Volontà!
Buona giornata a tutti voi
Caterina