’e ffemmene ’e tutte ’e ccittà
se vestetteno ’a festa:
ognuna s’ ’o vuleva spusà.
’E ffigliole cchiù ggiovene
mistravano ’e zzezzelle,
se mbellettavano ’o viso
cu ’a polvere ’e stelle.
Chi cantava, chi mbiancava
’a luna chiena,
chi nfunno ô mare
ntunava ’o canto 'e na sirena.
Sulo Rusella se sentiva
scola e scunzulata:
s’era dispiaciuta,
nun l’avevano manco mmitata.
’A figliola chiagneva,
vuleva ij pur'essa ’a festa:
accussì cercaje cose 'e lusso
dint’a na grossa cesta.
Ma nun ce steva niente
ca se prestasse a ll'uso:
Rosa truvaje sulo scarpe rotte
e guante cu ’e purtuse.
«Figurammece si ’o sole,
accussì bello, penza a mme!»
Ripeteva scunsulata
e suspiranno fra se e sé.
Nu juorno, a ll’alba, succedette
nu fatto curiuso:
’o sole se scetaje
tutto scuro e nzeriuso.
Pe ttramento ca se lavava,
nu vacillo chino d'oro
abbascio facette cadé,
a Rrusenella lle s'adurnajene
'e capille, 'e scarpe,
'e vestite e ’o decolletè.
Comm’era bbella Rusella,
tutta cuperta d’oro:
’'o sole, vedennola,
lle sbatteva forte ’o core.
Scennette ncopp’â terra,
’a mano 'e Rusella vasaje,
po’ tutto raggiante
dint’ô cielo s’ ’a purtaje.
Da allora ’o sole e Rusella
fanno ammore mmiez’ê stelle:
ogni ccsgno ’e stagione
nasceno mille criaturelle.
A vvierno nasceno arance,
e noce ’e limone,
a primmavera tutte
’e frutte d’ ’a passione.
E a maggio, mentre ll’aucielle
cantano l’ammore,
Rusenella bbella,
già riggina... addeventa sciore.
tra i riflessi dell’acqua,
nel debole pianto lei,
sognava, la gioia del cuore
un amore sincero,
una vita più vera.
E sbatteva i piedini,
creando quei cerchi perfetti
che poco più in là, morivano
e svanivano piano.
Tra le fronde e le ombre
filtrava un raggio di sole,
illuminava le rive e le sponde,
le ranocchie cantavano
sugli steli e le foglie,
i pesciolini saltavano
muovendo il codino veloce
mentre come argentee perle
le scendevano lacrime dal viso
formando un mare di stelle.
Le ninfe del bosco
chiamarono a raccolta
tutti i sorrisi del mondo
e dentro una soffice nuvola
la soffiarono nel piccolo cuore.
Pian piano, l’amore s’espanse
e sul viso ora gioioso
s’accese un grande sorriso,
venne dimenticato il dolore
in un semplice gesto d’amore.
Principe Azzurro su svelto destriero
riesci a baciare una dama già desta
o solo se dorme in mezzo alla festa?
Dai, principe: imbocca il nuovo sentiero!
Scendi da sella, sorridi al pensiero
di veder tua bella in sole o tempesta.
Potrebbe scappare, ma invece resta
quando fanciulla ti sente sincero.
Senza mantello rimani comunque
nobil persona se vivi col cuore,
ché le tue vesti indossar può chiunque.
Principe Azzurro abbandona il pallore
della tua fiaba già nota dovunque:
su, corri da musa e vivi d'amore.
visitò il volto
di un uomo addormentato
ma non lo svegliò...
I pennelli del cielo dipingevano
audaci
senza fretta
trascorrevano gli istanti
come voli di farfalle,
ed un bicchiere di vino
ormai vuoto
regalò al viso in quella notte
un sorriso sull'ombra vicino alla fine
ed i pennelli anch'essi
vicino alla fine dell'universo
gettarono un nero manto di stelle
come fondo del domani
costellazioni che girano nella volta
del cielo nera e virente
prossimi all'autunno
e la stanchezza anch'essa
senza fretta di raccontarsi...
Daniel è un piccolo demone,vive dentro ad uno specchio,ha cambiato molte case,ha corrotto qualche proprietario,ma non come desiderava lui.
Adesso, si trova a casa,di una giovane viziata,nobile e inadeguata.
Quale miglior preda, se non una fanciulla piena di vizi e nessuna virtù?
Lei si guarda spesso allo specchio poiché è l'unico " amico" che ha.
Finché lo " specchio " un giorno, inizia a parlare.
Daniel non si fa vedere,solo sentire.
Lui vuole solo un'anima oscura,da consumare.
kaly,diviene ogni giorno più capricciosa,insopportabile,sa che lo specchio, gli parla ,chiedendo una cattiva azione, per ogni desiderio e ottenendo azioni aspre molto facilmente, all'inizio, Daniel la accontenta,nei suoi desideri superficiali.
Kaly ottiene ciò che vuole; uomini,attenzioni, piccoli viaggi, ma si consuma ogni giorno di più.
Lei credeva di avere lo specchio ai suoi piedi,ma era lo specchio che dominava su di lei.
Divenendo,ancora piu cattiva,ancora più viziata,venne lasciata completamente da sola.
Oramai, era tardi,per salvare la sua anima relegata nell'oscurità.
Daniel adesso è Kaly.
Kaly adesso è Daniel.
Alla fine,chi si somiglia, si piglia.
Una dolce strega bianca, li osserva dalla sua sfera.
"Il male ritorna sempre al mittente.
È la Legge del tre.
Che se male fai agli altri
il colpo torna sempre triplicato a te".
"Caro elfo, ho bisogno di vederti.
Sai,devo parlarti di una mia idea,che troverai geniale, per risolvere il problema delle bugie, delle invidie e dei monologhi pomposi, dei draghi e dei lupi,che si nascondono nei boschi e se possibile, annullare quel contratto firmato da mastro lupo pinocchio che sotto consiglio del perfido drago Bubu, ha assunto un'identità fittizia, ingannando alcuni abitanti della terra magica e soprattutto, raggiungendo la fatina dei fiori, che prendeva il suo tè sul terrazzo ventoso, le avrà raccontato un sacco di baggianate, fingendosi la solita vittima, per convincerla.
Questo tipo è convinto, che la città ed il bosco,devono essere tutti suoi.
Ma si può?
Ho rimproverato la fata dei fiori, ma è avanti con gli anni,non posso dargli tutta la colpa.
Aggiungo,che ho intenzione di parlarne al più presto con Orione, lo stregone, ma prima voglio sentire il tuo parere.
Appena finito di cenare, mi ritirerò nella mia stanza per connettermi col canale dei portali e poi,mi allontanerò di nascosto dalla dolce Lulù (lo sai che ha sempre timore di tutto) per raggiungerti; ci vediamo tra poco nella Terra del corno di smeraldi, dietro la cascata che mormora la verità.
P.S. Stai tranquillo; non ho paura né dei draghi né dei lupi".
-La tua Verde bosco-
che attraversano la steppa
e sette le direzioni della valle
il sole asciuga la terra,
in modo indescrivibile
- un arcobaleno è la terra
ed il sole che la rischiara -
nei contadini fermi al campo
Sei nuova stagione e fior
che ameno cangi e color
il mondo di sospiro e amor
Non c'è altro nella gioia
il lento crescer arboreo
il giovanile fuoco scultoreo
e tutto intorno amor
che nella terra umida
e uggiose giornate
la pioggia come miele la terra
la colazione amena impasta
e lascia ai soavi boccioli
il fresco geranio a colorar rosso
e le rose bianche son pennellate
non è altro il mondo
ma uomo che guarda
speranza e fior
un infante che impara
colore e amor.
E’ ancora fredda l’acqua
che con le onde a riva come
lui porta con sé cose lontane.
“Ho chiuso gli occhi fino a farli
quasi sparire… e gli scogli tra le
pinne mi fanno sentire il rumore
dei flutti, e li ho uditi ridere.
E in bocca il buio da respirare”.
C’è scritto sul biglietto nella bottiglia.
“Rivedo nella testa i riflessi delle barche
sull’acqua, e ovattato ti sentirò arrivare”.
Una mormora si lascia andare a un balzo.
L’uomo scalzo fa ritorno a casa.
“Al pescatore che mi verrà a cercare…”.
Nel biglietto chiuso dentro la bottiglia.
Nell'indecoroso atto'l beccheggiar,
Che le risorse stavan a essicàr.
Ingordigia la tolse dal pollaio.
No lo vide 'l ladro del vaso l'aio
Si stette lì al tubo boccheggiar,
Che 'l morso di fam' non si fa notar.
Negligenza a la prole tolse un paio.
I peccati criminosi trascurano
Dando il fio ad altrui pella lor colpa
Chè non prendono'l fatto dalla polpa.
Ma pelle forti le lezioni imparano
Se nonché d'uno rotoli la testa,
Gira li oculi e col piè la calpesta.
in me ancora dimora
si fascina
con dimenticate superstizioni,
viene strappato al buio,
dentro ai tumuli,
celebri di sacrifici,
ammaliato da colori
e profumi nuovi,
meli in fiore,
radicati su terre verdeggianti,
spinto dalle eteree mani
dei suoi abitanti.
Il tempo è reciso
nei reami dell'oltre,
ove agli schiavi
è impedito entrarvi."
Quel sogno di cui narrai
non si ripresentò.
E un po’ me ne dolgo.
Il tredicesimo giorno
di Gennaio tuttavia,
da una fotografia colgo
lei come marza, con la
delicatezza
che si deve a un nesto
con l’auspicio che attecchisca.
Di spalle a un contesto niveo.
Una borsa eburnea su di un giacchetto
scuro: Dio, non c’è essere nel creato
che da quello sguardo non s’arricchisca.
E sullo sfondo
del Cristo Redentore
di Maratea,
tra i bellissimi capelli scuri
occhiali acri.
Su di una lunga e fiera scalea.
Se alzo lo sguardo, appena fuori
dall’immagine fotosensibile
posso vedere un aquilone.
In quel suo sguardo sensibile
posso però anche vedere i cercini delle
cicatrici che hanno generato un pollone.
Ninfa mi apparve in sogno.
Fanciulla d’animo, ma virago
in cuor suo e nell'aspetto.
Di spalle a nivea statua.
Un tascapane eburneo
sulla pelle scura del tiglioso,
coriaceo suo corsaletto.
E sullo sfondo di una
mulattiera, tra i bellissimi
capelli scuri lungo il viso fiero
un atro cerchietto.
Disse di non scordare
agoraio e scarsella,
e mi chiamò Aquilone.
Il sogno mi lasciò dell’agretto.
Non comprendo, non sono altro
che un artiere degli aquiloni e un
rimatore, nella foggia e nel petto.
Prima che la prossima ora rintocchi
intendo farmi trovare pronto per partire:
recluterò quante più matite, ciascheduna
ben temperata, così da non avere intoppi.
Come ogni viandante della mia specie,
indossate le ciantelle e calzata
la veste da camera, saprò cercarti
fra i miei righi seguendo le bricie.
Giorni addietro mi fece visita Rovaio,
che dopo essersi preso premura
di scarmigliarmi la foggia di barba con
le vesti trite per aver i servigi dell’agoraio,
mi instillò l’idea peregrina ma spontanea
di andar ramingo, sospeso ad uno dei mie
aquiloni, tra quei pochi anelati fotogrammi.
Pellegrinaggio il mio nella tua istantanea.