Il destino
fila lo stame
della vita,
inflessibile.
Stavo sul terrazzo che annotavo sensazioni
dietro la lista della spesa quando un micetto
di soli due mesi viene azzannato da un cane,
che poi continua a grattarsi impassibile.
Prima dell’alba quel cane
è perito tra dolori lancinanti
nei suoi stessi escrementi
su di un mucchio di letame.
Il destino
inflessibile
recide
lo stame.
La neve lo lascia crescere
sul suo stelo esile,
color delle candele
semplice e discreto
spingendo le foglie acuminate
attraverso il suolo ghiacciato,
effondendo un dolce profumo.
Ma la strega d’inverno
in un sospiro lo consegna
alle dita di Hel affusolate.
Regge il fio dei giorni
per la tela tra le dita.
Pone sulla rocca il pennacchio,
filatrice della vita.
Uno due e tre Moire
Cloto non la puoi sentire.
Avvolgendo al fuso il filo
dispensa la morte.
Per la tela tra le dita,
fissatrice della sorte.
Uno due e tre Parche
Lachesi non la puoi capire.
Taglia con le forbici
quando giunge il momento
di arrestare la vita.
La tela si scinge al vento.
Uno due e tre Esperidi
Atropo decide quando morire.
Sono venuta al mondo non per mia scelta.
D’estate, in un casale in aperta campagna.
Mi ci trovo bene, né freddo più del dovuto
e né oltre misura caldo alle calcagna.
Ho perso il mio compagno nell’unica notte
di canicola in un pianoro colmo di ristagni.
Ora prenderò a puncicare i dimoranti non
per diletto ma per connaturali bisogni.
Per poi tornare un’ultima volta ad affidare
le larve a quella brulla piana poco distante
prima di abitare le sponde dell’Acheronte
dove l’aria è orfana del caldo stagnante.
Ehi,...Sai dov'è casa?
Il luogo dove sarò felice,
per caso hai visto nel tuo viaggio
quel giardino fiorito di rose
dove scorre limpida la vita?
Cammino ormai da tanto
e stanca vado
adagio.
Il sole scende già sulla mia vita
nell'anima serenità infinita,
forse tu mi sai dire
dove mi attende casa?
Molto ho imparato
tanto ho insegnato,
ho amato, curato,
sognato
distrutto e costruito.
In un tempo creduto infinito.
Le mani stanche, ed il sorriso
lieve
di chi sa che tempo è ormai di andare.
Questa è la casa
ed io sono arrivata
nell'anima solo serenità infinita.
confine e soglia taciturna
tra la parte dei vivi e la quiete.
M’accoglie un abete,
una lunga fila ad anello
di cedri, salici e cipressi,
un variar di marmo messo in croce,
il ferro forgiato o arrugginito,
il legno inchiodato senza voce
e acerbi ceppi genuflessi.
Molte pietre solo numerate,
avelli e fosse mai scavate
tutte uguali ch’ormai sono nessuno.
Distaccati, prestigi d’uomo arabescati;
vedo ardesie e busti d’alabastro,
e tempietti d’onice ad incastro,
e tronchi e stele e monumenti:
l’isolata stazione degli abbienti.
Lo sfoggio ancor di signoria,
quel contrasto patrizio del pregiato
mi porta a pensar con apatia.
Tra evonimi, tassi e travertino.
l’illusorio cammino s’è fermato
e anche se inciso o lavorato
il granito non fa la differenza.
Provo cagione di totale assenza,
come spada la croce mi ferisce
e stordisce spartir fuori le mura
quel vissuto ormai oltre misura.
Mi passa davanti in un minuto
quel frenetico vivere veloce
che di un tutto fa simulazione
per vendere cara l’illusione.
Vorrei tanto fermar la notte fonda
ma preme passar nell’atra sponda.
Questa notte
non ho chiuso occhio,
del campanile ho udito
ogni suo rintocco.
La mente non ha concesso
riposo al corpo
affinchè fosse certa
che non fossi morto.
Per qualche momento, istanti
per ore, o solo un attimo non so
ho creduto di trovarmi
in un incubo di Poe:
che si tratti della nera
signora con la falce
o solo tomba di marmo
e terra, e calce
ho paura della morte.
Da quando la vita
mi ha dato te in moglie,
ma in bilico su queste dita
di una mano che posso solo
provare a stringere forte.
Forte almeno quanto
la paura per la morte.
Che si tratti dell’angelo
inviato dal Padre celeste,
o nell’ombra
tetra figura in sottoveste
ho paura della morte.
Da quando la vita
mi ha dato i miei figli,
ma in bilico su quelle stesse dita
di una mano che posso solo
continuare a stringere forte.
Almeno quanto cerca
di fare nell’ombra la morte.
Macchie nere su di un manto
candido: abbiamo deciso di tenerla
quando è mancato mio padre.
Io e mia sorella; lei è una cucciola vispa che vive
in un giardinetto sul retro della casa… farla stare
dentro mi è impossibile, ne ha fobia mia madre.
Papà la trovò, abbandonata
alla festa del paese…
Macchie nere su tanto pelo
bianco: l’abbiamo tenuta
quando è morto nostro padre.
Mia sorella e io: è una cagnetta vivace che abita
in un piccolo giardino dietro casa… la sera
attende sulla soglia papà, con le orecchie tese…
farla stare dentro non mi è possibile,
ne ha fobia nostra madre.Non pubblicherò i miei scritti
perché inevitabilmente i posteri
narrerebbero di me, ah l’autore
e inesorabilmente di te che
te ne sei andato una mattina
d’inverno, nel suo pallore.
Intercedo ogni giorno affinchè
per te ci sia una dimora.
Staresti in Paradiso con pudore…
Non pubblicherò mai i miei scritti
perché inesorabilmente i posteri
narrerebbero dell’autore
e inevitabilmente di te che sorseggi
vino alla tavola di Caronte e seguiti
ad avere sete di lealtà e candore…
Intercedo ogni notte affinchè
per te, padre, ci sia una dimora.
Se fossi in Paradiso, che tepore!
Milano di giorno
non ha segreti,
e il sole sulla cava di sale
saprà accompagnare
attraverso
un’insciente Brera
Maria domani
all’altare.
Milano di notte
ha più segreti di un guantaio
che muore, che per lei
sarebbe disposto a restare.
Che lo ha visto
sul letto di morte
debole,
ma forte a poetare.
E che domani
lo avrà saputo,
vanerella,
dimenticare
ancor prima che il sole
passi
dalla cava di sale
a Maria dell’altare.
solo il puzzo d’uno scappamento,
quattr’assi d’abete bullonato
e un prete distratto ed emaciato.
Non so chi sei, né t’ho visto mai,
ma è un caso che m’intenerisce
pensando alla vita che tradisce.
Dislochi quel tutto ch’è mancato,
la poca stima fin da giovinezza,
la bizzarra stranezza delle vie,
le cadute o l’onore meritato,
il peccato di chi t’ha poco amato.
Mi coinvolge, quasi fossi affine,
l’orizzonte futuro di speranza,
il dubitar continuo dei miei sogni
i bisogni della tua vicenda.
Non farai memoria d’ingiustizie,
i tuoi progetti porterai nel cuore
fidando in dovizie di splendore
con innocenti mani di preghiera.
Non subirai processi dal Buon Dio,
è l’auspicio che ti faccio io,
ti precederà Colui che ci governa
per compensarti con la vita eterna.
Ero solo un bambino che sognava
di somigliare al suo idolo, Gianni Bugno
quando ti chiesi di andare in bicicletta
insieme… ricordi, una domenica di giugno.
“Ho una riparazione da finire” ti affrettasti
a dirmi “e il cliente mi deve pagare”.
Ero solo un ragazzino sui gradini della
scuola, di sabato pomeriggio ad aspettare
che come tanti altri padri mi venissi a prendere
con l’auto: “In cantiere hanno bisogno ci sia io”
ti preoccupasti di spiegarmi; ero solo
un uomo allorchè disdegnasti la mano di Dio.
Sono ancora solo in questo 8 maggio con
un tulipano per mamma, per mia sorella un giglio.
Dovevi occuparti tu di loro, non avresti dovuto
lasciarmi, egoista, anzitempo: ero solo tuo figlio.