O barba, cespuglio del mento alterato,
tu trono peloso del viso sudante,
copri le gote con fare educato
ma spesso nascondi l’ego gigante.
C'è chi ti sfoggia con aria pensosa,
con l’aria da saggio, da eremita stanco
ma a guardare bene, talvolta la cosa
è solo un piumone per l’ego bianco.
Ti pettina lento, con arte e balsamo,
come si cura un bonsai personale.
Ma sotto la frasca, se levi l’albero,
trovi un pensiero spesso banale.
“Oh, guarda che barba!” esclama la folla,
e lui si atteggia a profeta antico.
Ma spesso la barba che tanto si immola
è solo il trucco di chi parla poco e pensa ancor meno. Un bel fico.
“È virile!” sussurra la voce del mito,
mentre lui liscia quel muschio castano
ma se gli chiedi un pensiero nitido,
ti offre soltanto lo sguardo lontano.
E guai a toccarla, sua sacra reliquia!
Si offende, si offusca, si chiude a riccio.
È il suo talismano, la sua picca antica,
il suo manifesto: "Ho letto Nietzsche (o quasi), e ti fulmino in silenzio."
Ah, barba maestra di finti misteri,
di notti passate fra birra e citazioni,
sei l’alibi chic di molti mestieri
e il filtro d’amore per tristi illusioni.
Eppure, che charme, bisogna ammetterlo!
Ci cascano in tante, lo sguardo si inganna.
Là sotto c’è forse un cuore tenero…
o solo briciole della sua colazione?