Non voglio scrivere di te
con la mia pochezza.
Voglio che sia il tuono
e il magma che dall’Etna esplode,
a raccontare di quando ti alzavi in volo
per poi lanciarti in fondo a quel cratere
ad osservare la terra dal suo centro.
Alla corte di Efesto tu
-forgiata da lui stesso
dal fuoco e dalla pietra-
dimoravi, al tempo
ch'era prima d’ogni tempo.
Quale metamorfosi
ti trasformò in fanciulla
Ovidio non lo dice.
Certo fu, che appesa alla folgore
toccasti il cielo.
E poi, prima che occhi celesti
ti potessero ammaliare
la terra ti pretese e fosti sua.
Con quale forza sei vissuta!
Calpestando miriadi di fiori
senza mai bruciarne uno.
Ti fu dato un tempo per tornare
alla fucina del forgiare.
Ora sei lì: fiocco incandescente
tra incudine e martello
nel supplizio primordiale.
Ti conosco indomita ribelle!
Di sicuro ancora e ancora fuggirai.
E sarai sembianza nuova
per nuovi mondi da esplorare.
Io ai tuoi luoghi non ho accesso
nemmeno nel sognare.
Madre! Perché
ti congiungesti ad un mortale?
Non ti dissero i tuoi numi
che la materia di noi umani
non si lega al fuoco, all'acqua
all'aria per creare cose nuove.
Quando morirò sarà per sempre!
Tu mia Dea, lo so, farai piangere
il cielo e la montagna
e l’universo per me
che mai più potrò tornare.
Mentre io -per te- da sola piango.
Commenti
Un saluto