Rimasi incita giovanissima. Avevo vent’anni. Ero innamorata del mio ragazzo. Quando seppi la notizia della mia gravidanza il mio cuore impazzì, non riuscii a piangere, sudai e i pensieri mi si accavallarono. Prima di parlarne con il mio ragazzo aspettai un giorno intero. Il giorno più lungo della mia vita.
Ero al primo anno di università, il mio ragazzo era al terzo. Oltre all’università avevo un lavoretto in nero. Non c’era posto per un figlio. Non c’era posto per chi seguiva solo la sua parte razionale , per chi era proiettato verso l’arricchimento materiale.
Dopo lo sconcerto iniziale pensai alla vita dentro di me, al miracolo che ogni donna era fortunatamente destinata a far compiere, lo sconcerto si tramutò in una forza che non pensavo di avere,una forza che oggi chiamerei “ la forza dell’amore”.
Prima di parlarne in famiglia ne parlai al mio ragazzo. Forse sentii le frasi più dure e dolorose della mia vita.
Lui non ne volle sapere, anzi disse : “Scegli, o lui o me”. Ancora oggi non so come l’essere umano possa arrivare ad una decisione simile. Io lo amavo, lui era tutto per me, dopo l’università l’avrei sposato.
Mi rassegnai, per consolarmi mi ripetevo sempre che gli uomini non possono capire.
Da sempre solo le donne sono madri, solo le donne hanno la fortuna di avere il dono d’amore più grande: dare la vita.
Scelsi di tenere il bambino. Nacque Davide. Il padre non lo riconobbe. Fortunatamente i miei genitori mi aiutarono , ma non mi confortarono. Anche per loro fu una scelta da folle.
Fu durissima. Studiavo, lavoravo e bambino. Per anni alla notte sognai il mio ex ragazzo. Sognavo di quando mi diceva che mi amava. Se mio figlio non mi avesse dato la forza , forse sarei morta di dolore.
Non volli sapere di altri uomini per anni, ero concentrata su di mio figlio che amavo sopra ogni cosa.
Con l’aiuto dei miei genitori riuscii a laurearmi e fortunatamente trovai presto lavoro come insegnante.
Il mio passato segnò il mio rapporto con gli uomini, a tutti dicevo che ero sposata, così da non creare le circostanze per situazioni sentimentali stabili.
La prima relazione l’ebbi quando mio figlio era già alle scuole medie. Dissi che ero sposata, lo vidi un po’ di volte tanto da farmi tornare alle mente cosa significasse avere un rapporto sessuale. Durante l’amplesso mi tornava alla mente il viso del mio primo amore e il dolore era inconsolabile. Non mi feci più trovare.
Alessandro era un mio collega di scuola, insegnava lettere . Anche a lui dissi che ero sposata. Con lui passai molto tempo in sala professori. Non era un bell’uomo, ma quando parlava mi rapiva,aveva un cultura vasta ed era in grado di sostenere qualsiasi argomento. Io imparai moltissime cose da lui. Scriveva poesie, me le scriveva su dei fogli che io tenevo e rileggevo a casa in solitudine e piangevo. Lui riuscì a togliere un po’ di ghiaccio che circondava il mio cuore.
Lui aveva qualche anno più di me e mi disse che era single per scelta. Ci vedemmo tutti i mercoledì, mio figlio aveva l’allenamento di pallavolo fino a tardi e ad Alessandro riferivo che al mio finto marito dicevo che ero in palestra. Lui mi portava in un’ appartamento che in seguito scoprii che era di sua madre.
Con me era dolcissimo e romantico, mi circondò di affetto e amore. Le sue poesie mi tenevano compagnia quando ero sola e riusciva sempre a commuovermi.
Di Alessandro mi innamorai perdutamente .
Ero pentita di aver inventato di avere un marito, avrei voluto confessare la mia menzogna spiegandone le motivazioni, ma una sera al ristorante cambiò tutto. Lui si allontanò per andare in bagno. La sua giacca rimase sulla sedia e dalla tasca si intravedeva un foglio, pensai che fosse una delle sue bellissime poesie.
La curiosità fu troppo forte , presi il foglio, portava la data del giorno prima : “ Oggi è il nostro anniversario di matrimonio. La vita ci ha regalato tante cose piacevoli, ma anche molti dolori. Noi continueremo la nostra strada assieme aiutandoci e confortandoci come sempre. Ti starò sempre vicina. Ti amo con tutto il cuore.”
Rimisi a posto il foglio e decisi di non dire niente. Non so come riuscii a rimanere calma per il resto della sera, inventai una scusa per non fare l’amore con lui. Arrivai a casa stremata, lui probabilmente mi aveva mentito, ma anch’io non avevo la coscienza a posto. Decisi di indagare per sanare ogni dubbio.
A scuola, dalla segreteria, riuscii facilmente a reperire il suo vero indirizzo.
Durante una sua ora di lezione andai a casa sua e con un coraggio che non so da dove provenisse suonai alla porta.
Aprì la porta una signora robusta, con bellissimi occhi verdi. “Scusi dovrei lasciare questo opuscolo pubblicitario per la moglie del prof. Alessandro”, dissi con voce tremante. “Sono io”, rispose tranquilla. Quello che mi colpì fu la straordinaria somiglianza con il marito, se mi avesse detto che era la sorella ci avrei creduto. “ Signorina per la pubblicità c’è la cassetta” , mi disse sempre con calma. Le sorrisi e me ne andai senza darle risposta pensando che avesse un bel carattere.
Telefonai a lui immediatamente e gli chiesi un incontro per l’ora di pranzo perché avrei dovuto parlargli di una cosa molto seria.
A tavola con lui, iniziai a parlare della scuola, mi tremavano le gambe. Lui tranquillo mi disse :“Tesoro, c’è qualcosa che non va? Cosa devi dirmi?”
I miei pensieri iniziarono a correre veloci. Ripensai alla mia vita, a mio figlio ora grande e bellissimo che amavo molto, all’amore che mi dava lui, alla vita serena che ero riuscita a costruirmi, agli uomini della mia vita meravigliosi dispensatori di dolore.
Alle sue poesie che all’improvviso mi sembrarono ridicole, alla signora così somigliante a lui, alla sua ingenuità nel lasciare una lettera d’amore così esplicita nella giacca, alla situazione quasi paradossale nella quale io avrei dovuto confessare di non essere sposata e far sapere a lui che ero al corrente del contrario.
Tutto mi sembrò ridicolo, assurdo, comico. Iniziai a ridere, a ridere sempre più forte. “Cosa c’è da ridere” , disse lui con una faccia che mi fece ancora più ridere. Ormai avevo le lacrime agli occhi, non riuscivo più a trattenermi. La signora sulla porta, la lettera nella tasca della giacca … vai con le risate. Le sue bugie, le mie … vai con le risate. “Cosa c’è da ridere calmati, ti stanno guardando”, disse lui preoccupatissimo. Cercai di calmarmi e asciugandomi le lacrime dissi “ Volevo dirti …” e vai con le risate. Volevo dirti … che a Torino c’è un’importante mostra di pittura di Renoir” “Allora cosa c’è da ridere ?”, disse lui serio. Volevo chiederti se andremo a vederla … ecco è questo che volevo dirti ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah.
Commenti
Bellissimo racconto ,scorrevole e piacevole la lettura..
Concordo con Amilcare ,se si segue fino in fondo è perché la formula di scrittura è vincente!
Un saluto e buon lavoro!