Amo addentrarmi per sentieri alla ricerca dell’identità perduta, di appartenenza e di radici.
Tra castagni, ciliegi, platani, pioppi, affondare le mie suole e, come escursionista, esplorare siti poco conosciuti ma pure ignorati: itinerari alternativi, carichi di fascino e mistero.
Essere libera; senza tempo e obblighi; senza fatica, senza fretta; assecondare, finalmente, curiosità e gusto di avventura; soddisfare l’ansia di rientrare nelle intime viscere della mia terra, nei suoi antri, tra viali di querce e ontani, nei casolari dirupati, nelle tenute abbandonate.
Scoprire e leggere i segni di passaggi ininterrotti nel tempo; interpretare codici e linguaggi di un passato quasi dimenticato.
Stupirmi e riflettere sulle interdipendenze esistenti fra determinanti fisiche e umane, ecosistemi e spazi antropizzati; gustare il fascino delle geografie che mi regala il paesaggio agrario e lasciare che i miei orizzonti sensoriali siano rapiti dalle suggestioni di grandiosi panorami e da giochi di luce tra alberi e silenzi, da cromie e odori forti e intensi di ginestra, zagara, lavanda, acacia.
Camminare, a piedi nudi, tra massi granitici e fiumare per riappropriarmi di me stessa, per leggere il vivo, intimo, mio rapporto con la mia terra; interpretare, capire il senso di luoghi pure impervi e isolati.
Fare uso delle mie gambe, finalmente libera da condizionamenti, senza costrizioni né inibizioni, per godere, in quest’intima convivenza coi territori, la dimensione personale di un equilibrio interiore ritrovato.
La mia terra è la mia pace e io l’amo di un amore disperato.
E’ esagerata, forse, la mia rabbia ma è vera; soffro nel vedere paesi deturpati e spazi desolati; una terra, la mia, esuberante di naturalità e tradita; generosa e ripudiata.
Ed io amo inoltrarmi nell’entroterra, in angoli nascosti; curiosare con discrezione nella vita dei piccoli borghi per vedere, sentire, toccare, i molteplici aspetti di un ambiente, di un territorio, di un paesaggio.
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