Ricordi sparsi e divagazioni.
Pietraperzia fu il paesino dove nacqui e dove trascorsi pienamente la mia infanzia, nonché parte delle altre fasi evolutive della mia vita.
Adagiato su un letto collinare, in provincia di Enna, il predetto piccolo paese è situato al centro della Sicilia o Cicilia, come la ricorda Dante nelle sue tre bellissime e profondissime cantiche. La Trinacria, altro appellativo della Sicilia, si dice che fu la prima provincia di Roma e, come ci tramanda la storia, anche teatro di tante guerre e di molteplici dominazioni: romane, ostrogote, bizantine, saracene, normanne, sveve, angioine, aragonesi, spagnole, austriache ed altre, che nel bene e nel male hanno lasciato le loro vestigia in tutta l’Isola.
Per la sua posizione geografica la Sicilia potrebbe essere un giardino di olezzanti fiori, se la stessa natura estinguesse le poche cattive piante dai fiori velenosi, che, fiorendo, poi i semi all’aere espandono col vento, mentre la terra se ne impregna, partorendone altri ancora più malvagi.
Oh natura inconsapevole, prendi coscienza e non far fiorire più le piante venefiche, rendendo sterili i loro semi! E voi, piante dai fiori profumati, svegliatevi e producete semi più potenti, tanto potenti e forti da rendere sempre più esiguo lo spazio alle predette piante, perché i loro semi si annientino per sempre sotterra per non vedere più la luce.
La Sicilia potrebbe essere, invece che il sud dell’Italia, il nord dell’Africa; potrebbe essere una nazione civile come la Svizzera, ma più bella e più completa, perché, oltre alle bellezze naturali che possiede la predetta nazione, vi è anche il mare.
La Sicilia potrebbe essere per la sua bellissima posizione geografica un sito veramente ameno, se si debellasse, però, come ho già detto, la distruttiva feccia, se si risanassero le menti malate e, rimboschendo tutto il territorio, si dotasse quindi di strade bene asfaltate, di strutture alberghiere, d’infrastrutture e di quant’altro per renderla tutta un perfetto paradiso del turismo.
Il popolo siciliano, forse, starebbe così bene fisicamente, spiritualmente ed economicamente da non dovere, forse, più strisciare ai piedi dei “potenti”, da non doversi più inchinare a nessuno per sottomissione, ma solo per salutare il suo simile per apprezzarlo ed essere apprezzato solo perché uomo; per il benessere che si verrebbe a creare la gente non solo non avrebbe più motivo di emigrare per cercare altrove un lavoro, ma lavorerebbe proficuamente e con gioia nel sito dove nacque e vivrebbe soprattutto nella serenità e nel calore familiare.
Qualche asservito lettore sapiente ed istruito, di quelli a cui la scienza gli cola fino alle ginocchia dirà: “Quanta utopia! Dove vive questo sognatore e misero scribacchino?”. Mentre il solito leccaculo politicante o mafioso dal cervello arido ed ignorante nella maniera più rozza aggiungerà: “Chissu pazzu è! Chi voli cangiari lu munnu stu minchiuni?”. Ma qui mi fermo, con la speranza che i benpensanti e ce ne sono tanti, ma non escono allo scoperto per paura, possano dare una giusta risposta, in quanto io non sarei in grado.
Chissà perché, quando affiorano i miei ricordi sugli eventi del passato o del presente, io, riflettendo, divago? Me ne accorgo, però, in certi momenti mi piace così: ricordare un fatto, esporlo, accennandolo, divagare sullo stesso per un po’ e poi rientrare di nuovo in argomento. Questo mio modo di scrivere non so a quanti piacerà, ma io, poiché in questo momento mi viene spontaneo scrivere così, lo ritengo valido: non essendo monotono, terrà forse più attenta la mente del lettore.
Ritorno quindi a ricordare il mio paese, dove mio padre possedeva una modesta casa in campagna, non molto lontano dal centro abitato, che si raggiungeva, infatti, con una giumenta, mezzo di trasporto della nostra famiglia, ma quasi tutte le famiglie allora possedevano un equino o più di uno come mezzo di trasporto non solo, ma anche e soprattutto per i ricorrenti lavori della terra, essendo in quel tempo gli abitanti del predetto paesino, come tanti altri, prevalentemente dediti all’agricoltura e in minor misura alla pastorizia.
In quegli anni quasi tutte le case di campagna erano regolarmente abitate dagli stessi contadini, veri coltivatori diretti della terra, che purtroppo col cosiddetto “padrone”, proprietario dei terreni concessi agli stessi a mezzadria, dovevano dividere a metà i prodotti del suolo e degli alberi o quant’altro si ricavava dalla coltivazione del terreno ed anche dall’allevamento del bestiame.
Allora era questa la prassi, ma, come sempre, le concessioni a mezzadria, enfiteusi, colonia, soccida ed altre forme di contratto si concludevano a discapito del più debole, del misero contadino, che non poteva lamentarsi e sopportava spesso in silenzio e in modo dimesso le angherie del padrone in aggiunta alle pesanti fatiche quotidiane per potere sfamare sé stesso ed i suoi familiari.
I cosiddetti padroni, proprietari terrieri, chiamati anche “nobili”, si riunivano in Pietraperzia in un locale chiamato Casino o Circolo dei nobili, dove, per averlo frequentato nella mia giovanissima età, avendo qualche amico “nobile”, notai che più che nobili, in relazione al loro comportamento gli stessi erano uomini triviali e sboccati, dei disonesti bighelloni, che s’impinguavano, facendo sudare i sottomessi contadini, che erano sempre pronti a riverirli, salutandoli così: “Voscienza benedica”. Con qualche riserva, talvolta il loro sudiciume morale, rivestiva anche il loro corpo. Erano dei prepotenti e più volte mi accorsi che erano pronti, anche senza nessun motivo, seduti in estate su uno spiazzo davanti all'ingresso del circolo, a mortificare la dignità di qualche donna, che di là passava, o di investire ad alta voce i loro contadini, che magari chiedevano loro di differire la data di qualche cambiale o quant’altro.
Questi cosiddetti “nobili” erano quelli che, approfittando della povertà e delle difficoltà dei loro sudditi, pur non praticando ius primae noctis, soddisfacevano i loro piaceri con le mogli o con le figlie dei predetti contadini, che abitavano in campagna nei tuguri da loro concessi. I poveri contadini, pur essendo, talvolta, a conoscenza di tali angherie, dovevano starsene zitti per non perdere quell’occasione di lavoro, unica fonte di sostentamento della famiglia.
Avevo compassione di questa gente debole che, tante volte offesa, taceva, s’inchinava e sottomessa se ne andava. Questi erano i nobili del mio paese, che io conobbi. Nelle loro case qualsiasi occasione era buona per festeggiare, mentre nelle case o meglio nei tuguri e nelle catapecchie dei poveri si accumulava la miseria su miseria con tutte le conseguenze che ne scaturivano.
In maniera diversa con sistemi apparentemente civili, diplomatici, quindi ipocriti, e con violenza psicologica anche oggi, purtroppo, nei vari settori delle attività e nei rapporti tra gli uomini prevale la legge del più forte, la legge della giungla e non il diritto o meglio l’humanitas.
Oggi, pur sporcandoci la bocca di termini civili come fratellanza, uguaglianza, libertà, pace ed altri valori, i cui significati rimangono solamente descritti sulle pagine dei vocabolari o sopra nel rigo dove io li ho testé elencati, come sempre, è purtroppo valido il detto di Plauto: “ Homo, homini lupus ”.
Ma tutto ciò in altre remote epoche, forse, poteva anche essere accettato, poiché quei tempi erano in fase di civilizzazione, non vi era tutto ciò che la scienza e la tecnica hanno prodotto e poi hanno messo a nostra disposizione; quei tempi noi li dovremmo considerare propedeutici, preparatori di una società migliore.
Letto quanto ci tramanda la storia, noi avremmo dovuto con intelligenza far tesoro delle poliedriche fatiche di tutti i nostri predecessori e mettere in pratica un altro detto, homo homini deus, si diligit proximum suum sicut se ipsum, che ci avvicinerebbe veramente al Quid superiore, cui da sempre qualsiasi uomo, di qualsiasi razza vivente sulla terra, crede in un modo o in un altro, perché sa che in lui e nei suoi simili non si concentra il tutto; sa di non essere completo e vuole appoggiarsi, trovare conforto, sicurezza. Il tutto, infatti, ognuno di noi lo cerca al di fuori di sé stesso; in alto, nello spazio, l’uomo, drizza gli occhi quando la sua mente avverte in relazione agli imprevedibili accidenti della vita la sua totale terrena impotenza.
Vorrei, comunque, a questo punto, absit iniuria verbis, esprimere un mio pensiero e vorrei anche che nessuno si scandalizzasse, anzi ne potesse trarre beneficio o sollecitazione ad approfondire l’argomento e dare più giuste spiegazioni a chi come me è poco convinto a causa delle limitatezze del proprio intelletto, per stanchezza o per varie altre difficoltà. Infatti, quando si è stanchi o in difficoltà ci si rivolge a Dio, perché così ci hanno insegnato i nostri avi e poi ognuno di noi ha fatto propria questa genetica abitudine.
La debolezza umana, la mancanza di solidarietà tra gli uomini e l’impotenza di fronte alle alterne vicende che la sorte ci oppone, fanno sì che l’uomo creda in un essere superiore a lui. Il Dio o gli Dei, a seconda di come s’ immagina ed a seconda di come si crede, in maniera monoteistica o politeistica, sono solo fantasmi, inventati dalla nostra mente debole ed ignorante a causa delle limitatezze sotto tutti gli aspetti del nostro quotidiano vivere.
Se noi vivessimo con solidarietà, se fossimo veramente fratelli, l’uno all’altro, e se avessimo la sicurezza che, riponendo tutta la nostra fiducia nel nostro simile, lo stesso poi desse a noi la prova esemplare di continuo metabolismo affettivo in tutte le sfaccettate sfere della vita, ritengo, con qualche riserva certamente, che nessun uomo nei momenti di sconforto o di qualsiasi difficoltà alzerebbe le mani al cielo per chiedere aiuto, ma si rivolgerebbe immediatamente al suo simile più vicino, al primo passante, pur non conoscendolo, perché convinto che nell’altro può contare.
Gesù in croce chiamava Dio, perché in terra sapeva che non ci sarebbe stato nessuno che l’avrebbe potuto salvare. Il sacrificio sulla croce, truce olocausto come tanti altri che la storia tramanda fino ai nostri giorni, sarà vero o falso, ma il messaggio, “ama il prossimo tuo come te stesso”, che il racconto ha diffuso nei secoli è fortemente esemplare, talmente importante che noi uomini avremmo dovuto metterlo intelligentemente subito in pratica, perché, tra l’altro, ci conviene per vivere senza disperazione, senza doverci difendere continuamente dalle azioni malefiche del nostro simile, al quale soprattutto oggi non si crede più, anzi si presume sempre che simuli e pertanto bisogna stare attenti. Cave canem!
E’ un vero peccato originale non avere inteso il messaggio di Gesù; è proprio questo, ritengo, il peccato originale che alberga in ogni uomo dalla nascita al morire; è proprio questa la pesante zavorra, di cui subito dovremmo liberarci per sempre.
Gli uomini, se intendessero ed applicassero il predetto insegnamento di Gesù Cristo, vivrebbero veramente in pace tra loro, poiché questo è l’unico pilastro attorno al quale dovrebbe ruotare ogni essere vivente. Invece c’è chi specula e trae ingenti risorse di varia natura, avendo trovato nei secoli un buon pretesto per costruire fantasmi sul sacrificio di Gesù Cristo.
Tali sono, infatti, gli amministratori della chiesa cosiddetta cattolica e per altre credenze gli amministratori di tutte le varie chiese. Questi sono gli unici che se ne giovano; come i maghi, imbrogliano i deboli, i derelitti, gli ignoranti e quanti si trovano in difficoltà; questi vivono bene a discapito di quanti nei momenti più difficili della vita ricorrono a Dio o agli Dei o ai maghi, ritenendo i sacerdoti diretti mediatori o sensali che intercedono presso Dio per avere le sue elargizioni e i maghi uomini potenti che detengono forze misteriose per debellare le negatività di qualsiasi natura e far sentire bene il malcapitato.
Adolescente e fino alla maggiore età seguivo la religione cattolica e sentivo che Dio, che è la Verità e l’Amore, si poteva raggiungere solo attraverso quel cammino, ma a poco a poco cominciai ad essere più osservatore e mi accorsi che gli amministratori della predetta chiesa più che apostoli erano, come sono, amministratori di denaro e di servizi a pagamento.
Non ebbi più quindi una buona impressione, soprattutto perché le loro prediche molto piatte erano anche ipocrite e notavo soprattutto che i cosiddetti fedeli, osservando il loro comportamento dentro e fuori della chiesa, che per me non era più affatto un’assemblea di anime pie, non erano particolarmente devoti e che andavano in chiesa più per distrarsi che per stare in raccoglimento, per rispettare le tradizioni, magari per occhieggiare un uomo o una donna, per esibirsi, per fare un defilè di moda, offrendosi così alla vendita in senso lato, per fare, come si dice, falsa politica o carriera politica, per ostentare la fede o il pentimento per poi commettere clandestinamente efferati delitti e quant’altro di non religioso e disumano.
Mi vergognavo davanti a Dio di un simile spettacolo e di non avere quel raccoglimento, che desideravo, perché distratto da quanto avveniva, nonché dai miei relativi pensieri.
Compresi che dovevo abbandonare quel luogo di falso culto della preghiera e del non raccoglimento; lì, infatti, non tolleravo che si potesse conciliare quanto, a cui ho testé accennato, insomma che Dio e Satana convivessero sotto lo stesso tetto. Non potevo andare avanti così.
Così ben presto cessai di andare a quelle funzioni teatrali religiose, che si tenevano in ore prestabilite dai vari preti sul palcoscenico della chiesa tra l’altare e la platea. Interruppi definitivamente i miei rapporti con la struttura chiesa ed eressi un mio tabernacolo nel mio cuore, avendo filo diretto con Dio, attraverso la preghiera che genuina mi usciva dalla mente e con qualche buona azione compiuta nel silenzio durante le diverse attività, a cui ero preposto ad attendere durante il giorno.
Mi riaccostai alla chiesa verso i cinquantacinque anni con tanta speranza, la seguii per un po’, ma a distanza di molti anni la ritrovai, ahimè, peggiorata alquanto. Oggi con risentimento e rabbia verso coloro che gestiscono male un bene prezioso per la vita umana e di conseguenza per tutti gli esseri e per tutto ciò che esiste sulla terra mi ritrovo a scrivere quello che il lettore legge.
Qui vorrei fermarmi, con la speranza che chi leggerà, potrà trarre le conclusioni più intelligenti. Dire di più sarebbe inutile, è la storia che ci racconta nei secoli i fatti e il cattivo comportamento degli amministratori della chiesa; fatti, che si perpetuano nel tempo e cui quotidianamente assistiamo.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La storia - diceva Gramsci – insegna, ma non ha scolari ed io vorrei aggiungere, aggiornando quella frase ai nostri tempi, che oggi la storia ha molti scolari e molti docenti, ma, purtroppo, pochi discenti e pochissimi maestri.
I cosiddetti sacerdoti hanno veramente capito da secoli il vero messaggio di quell’olocausto avvenuto duemila anni fa sul Calvario e così l’hanno scrupolosamente messo in pratica, tramandandolo nel tempo in lingua latina, greca o in altre lingue in senso lato, insomma con tutte le loro invenzioni artificiose per imbrogliare i loro proseliti, che avrebbero prodotto poi sempre più proseliti.
Così sono venuti fuori anche i Santi, altri semidei, che, come gli Dei che abitavano l’Olimpo, proteggono i calzolai, gli automobilisti , gli avvocati, i cacciatori, insomma sbizzarritevi voi miei cari lettori. I veri santi sono gli uomini che amano il prossimo ed operano nel silenzio, aborrendo il clamore di ciò che fanno.
Le beatificazioni e le santificazioni sono farse. Non è necessario fare queste cose, tributare questi cosiddetti onori, in quanto questi uomini hanno fatto il loro dovere da uomini, mentre chi sta a guardare il loro comportamento è solo capace poi di elogiare con le parole ed incoerentemente agire peggio di prima.
Poi chi sono costoro che, giudicando, beatificano o santificano? Magari, come ripeto, sono dei mascalzoni della chiesa. Lasciamo che sia Dio a giudicare, a premiare o a castigare; sostituirsi allo stesso, significa peccare di presunzione.
L’uomo non può arrogarsi questo potere, essendo fallibile, e chi a qualsiasi livello e nei diversi settori delle attività abusa, è un pazzo o un imbroglione o attenta alla grandezza della divinità, come, si dice, fece quel bellissimo angelo, chiamato Lucifero. Sostituendosi a Lui, l’uomo diventa un altro Satana e tali sono coloro che praticano codeste celebrazioni di beatificazione e santificazione, cui ho sopra accennato.
Questi imbroglioni hanno una perfetta organizzazione centrale e periferica veramente capillare dei loro vari ministeri e delle loro gerarchie ecclesiali in tutto il mondo. Anche se non è veramente cattolica in senso greco, la chiesa “cattolica” conta moltissimi esseri, credenti, meno credenti ed altri che fanno finta, che, come si nota, vanno dietro ad essa. Quindi, vista la sua organizzazione, ritengo che, soprattutto, si tratta di organizzazione politica, più che religiosa; anzi la religione per la predetta chiesa è il pretesto principe per adescare e reclutare nuovi adepti.
Penso che alberghi in quel monte Vaticano il covo della cattiva politica, da cui vengono fuori poi le diverse teste dell’Idra o i tentacoli della piovra. Vi sono, infatti, in gran parte della terra direzioni, ispettorati, agenzie, sub agenzie e collaboratori con a capo vari monsignori. La chiesa “cattolica”, nella persona dei suoi amministratori, per assolvere al suo giusto ruolo dovrebbe essere aliena dalla politica e, soprattutto, dai politicanti; i preti, infatti, sono già degli eletti, vocati a servire Dio e non dei conniventi servi-padroni dei vari partiti.
La chiesa non dovrebbe avere diritto di voto; essendo cattolica, come si definisce in senso classico, quindi universale, dovrebbe provvedere solamente alla cura delle anime che popolano la terra con i mezzi che Dio prescrive.
Il contrario di quanto sopra ho scritto produce, come ognuno di noi sa, effetti sempre più deleteri. Il compito dei preti è quello descritto dal Vangelo e non altro; chi lo sente per vocazione lo metta in maniera esemplare in pratica, chi non lo sente non sporchi l’abito talare, ma si arruoli apertamente e senza ipocrisia nella schiera dei masnadieri.
Gesù non fu un monsignore, né un pluralis maiestatis, fu un semplice uomo, un povero missionario che fu crocifisso, come si legge, perché uomo e non monsignore.
L’uomo, infatti, dice il messaggio cristiano, deve comportarsi da malfattore o da monsignore, se no finirà sulla croce.
Con qualche eccezione, molti amministratori della chiesa, cosiddetta cattolica, in pectore così nei secoli l’hanno inteso e l’intendono e di conseguenza così si sono comportati e si comportano.
Il termine o appellativo “sacerdote”, sacer = sacro e dos = dote, qualità, pregio, non lo meritano, in quanto per le loro delittuose azioni commesse nei secoli e che si perpetuano ancora oggi, come la storia ci narra e la cronaca oggi, è meglio chiamarli sacrileghi; la loro dote, infatti, è quella di far dote, arricchirsi in mille modi col pretesto di trattare il sacro, il divino.
Imbroglioni! Voi siete la zavorra più pesante, di cui gli Stati dovrebbero liberarsi. Vergognatevi, individui ipocriti, di fare scempio ed asservire i vostri simili.
Voi siete dei sepolcri imbiancati e delle madonnine infilzate. Siete proprio voi ad allontanare l’uomo dal suo simile.
Voi siete quelli che volete che gli altri facciano quello che voi dite e che voi stessi non fate, pesando gravemente sul bilancio umano.
E’ anche inutile dire di quanti privilegi godete voi e tutti i vostri addentellati.
Il cosiddetto Papa va al Gemelli per un’influenza e si mobilitano i tanti pecoroni, la stampa e quanti altri, insomma è un affronto fatto all’uomo, al povero cittadino, al lavoratore, all’anziano pensionato, a chi non ha e per questo motivo non è, a chiunque paga le tasse e non vive disonestamente o da parassita.
Ma, ahimè, possedendo quest’essere infelice solo la sua dignità di uomo, quando ha bisogno di un ospedale per malattie ben più gravi spesse volte trova tutte le difficoltà, di cui ognuno di noi sa e, non potendosi appoggiare al suo simile, che fa? Alza le braccia al cielo e prega Dio, ma la risposta è quella che ognuno conosce e quindi va dal monsignore o dal politico di turno; se non ha nessun protettore, deve pagare la tangente al personale medico o paramedico per avere qualche attenzione, che dall’altro viene erogata sempre falsamente in relazione e in proporzione all’obolo incassato; se, infine, il malcapitato non ha nessuno e non ha denaro, diventa solo un numero.
L’uomo, talvolta o spesso, si pente di essere nato e si sente colpevole di vivere, perché la società lo emargina e talvolta lo esclude, in quanto non ha e per questo motivo non è.
Insomma questa è la dura realtà, che tutti conosciamo per averla vissuto, purtroppo, in maniera epidermica più o meno.
Quindi sappiamo quali sono le disoneste procedure, cui ci si sottomette spesse volte per ricevere un servizio umano, che dovrebbe essere erogato a qualsiasi uomo, vivente sulla terra, non solo per diritto, ma soprattutto per dovere, senza ferire la sua dignità, specialmente in quei momenti, in cui è più debole, perché malato.
E’ indegno quello che avviene e cui assiste l’uomo, inerte spettatore, che a forza subisce e sommessamente tace.
Gli uomini vengono sulla terra non per loro gradimento, ma perché qualcuno, magari spesso senza amore li mette al mondo; pertanto, non hanno nessuna colpa di esistere.
Anzi coloro che già sono sulla terra e sanno già cos’è la sofferenza non dovrebbero fare altro che accoglierli e fare in modo che gli stessi si possano sentire durante la loro vita vicendevolmente ospiti l’uno dell’altro.
Se così non sarà, il contrario del mio ragionamento, che purtroppo viviamo quotidianamente, produce e produrrà sempre gli effetti deleteri, di cui siamo dolosamente coscienti.
Mi dolgo che l’uomo Wojtyla soffra tanto e che nei momenti della sua agonia quindi riceva tutto il conforto e la solidarietà, di cui ha bisogno, ma non condivido le discriminazioni tra gli uomini, in quanto ogni uomo che su questa terra soffre deve ricevere, non mi stancherò di ripeterlo, tutte le umane attenzioni e le doverose cure, così come vengono erogate all’uomo-papa, all’uomo-presidente, all’uomo che detiene il sudicio potere.
Tutti sanno e quindi taccio sul chiasso che si è fatto alla morte dell’uomo-papa, preferisco non ampliare oltre l’argomento. Quante speculazioni sul morto! Quante parole, che restano tali! Quante false e teatrali celebrazioni.
Non abbiate paura! Fratelli, cui do voce, toglietevi una buona volta il bavaglio! Ribellatevi e debellate i fautori di questo malcostume!
L’uomo è grande di per sé ed ha dignità solo perché uomo e come tale dev’essere rispettato ed amato dal suo simile; chi in qualsiasi modo e con qualunque mezzo lo rende servo e sottomesso al proprio volere dev’essere curato, perché di malato di mente si tratta.
L’uomo, purtroppo, nei momenti di debolezza, per via del bisogno, indifeso, ritorna bambino, perché bambino rimane; da piccolo chiama la madre e da adulto invoca e volge gli occhi al cielo, ma il cielo appartiene alle eminenze, ai monsignori ed ai loro addentellati e per ricevere grazie, le stesse devono essere pagate lautamente dai deboli ai predetti mediatori del Dio o degli Dei che stanno in terra, insomma ai vari feticci della chiesa cattolica, della politica e della delinquenza.
Ma se rimarrà bambino, l’uomo, e vorrà continuare ad esserlo, la sua sorte è segnata, sarà un eterno schiavo, mentre altri vivranno da forti sulla sua debolezza e da ricchi sulla sua miseria.
Sarebbe meraviglioso, se l’uomo restasse bambino, visto quello che succede quando presume di fare l’adulto.
Ma io stesso che ho espresso il mio pensiero sono il primo a sollevare le mani e gli occhi al cielo, poiché, debole ed indifeso come tanti, ho talmente radicato nel mio DNA il gene che ha nome Dio, da non potermene liberare e penso che non ci riuscirebbe neanche il migliore esorcista a debellarlo.
Dio, un piccolo nome, ma d’immensa illusione, un grande fantasma, di cui non si potrà fare a meno, finché l’uomo non rispetterà ed amerà il suo prossimo come fece Gesù.
Uomini di chiesa, in nome di Gesù vi prego di vestire un solo abito, bruciate tutti gli altri, onorate l’abito talare, dedicandovi solo alle missioni, come gli apostoli, ed a non altro che vi allontani e vi distragga dallo scopo principe, cui vi sentite chiamati e cui per vostra scelta e predisposizione dell’anima vi siete votati.
Allontanatevi dalla politica, dagli sfarzi, dai commerci; amate solo Dio e con le opere esemplari, come fanno pochi tra voi, siate forieri di amore e di pace tra gli uomini.
Lasciate aperte tutte le chiese, perché i fedeli possano entrarvi in qualsiasi ora del giorno e della notte per il loro spontaneo raccoglimento.
Aborrite tutti gli ori e gli argenti e tutti gli effimeri tesori, di cui sono pregne le vostre sontuose chiese e le annesse sacrestie, a causa dei quali fate commercio a livello centrale e periferico.
Bruciate gli sfarzosi paramenti, che, tra l’altro, vi fanno sembrare dei manichini, che stanno per rappresentare in maniera ridicola scene teatrali di bassa interpretazione.
Preti, suore ed addentellati, è chiaro che mi riferisco a tutti dal papa ai sacrestani, voi, se vocati all’ordine per vostra libera scelta, dovreste essere ritualmente castrati, onde evitare gli scandali, cui assistiamo, pedofilia, congiunzioni sessuali con suore etc…, dovreste sentire la castrazione come voto per una totale dedizione a Dio. Certamente la chiesa perderebbe molti proseliti, forse il 90%, ma la restante parte sarebbe sicuramente sana. Voi, che, si presume, ne abbiate più titolo e, soprattutto, predisposizione dell’animo, dovreste accudire proprio voi in tutti gli ospedali gli ammalati; per questo nobile servizio siete i più idonei come barellieri, inservienti, infermieri, medici, insomma come personale paramedico e medico. Lo stesso dovreste fare nelle carceri: dovreste affiancare in maggior numero le guardie carcerarie e sulle strade cittadine, nei diversi quartieri, dovreste vigilare le anime ed intervenire in pronto soccorso, se vi è bisogno, così come i poliziotti vigilano per la sicurezza dei cittadini ed al bisogno poi intervengono. Insomma uscite fuori dai vostri covi e proiettatevi con amore a rendere più cristiana la società.
Non fate più commercio d’icone, di corone e di quant’altro, non fate speculazione disonesta sull’uomo dalla nascita alla sua morte, come fate adesso con le varie tangenti applicate sui battesimi, cresime, matrimoni, funerali, messe semplici e cantate per vivi e per morti (chissà quale differenza c’è tra semplice e cantata?), sacre ruote.
Insomma, che finiscano tutti i privilegi e le immondezze da voi inventati per estorcere denaro, perché d’estorsione si tratta ed anche di evasione fiscale; reati che dovrebbero essere perseguiti d’ufficio e condannati dalla magistratura. I maghi vengono perseguiti, ma gli amministratori della chiesa no; anzi agli stessi, dulcis in fundo, oltre agli altri privilegi è concesso per legge di ricevere un piccolo regalo annuale: il cosiddetto “otto per mille”, al quale, per la sua destinazione da parte di chi presenta la dichiarazione annuale dei redditi, viene fatta martellante pubblicità alla televisione come ad un detersivo, all’acqua minerale o a quant’ altro: la religione è diventata un business per la chiesa cattolica.
Quanto detto sopra per codesti amministratori, in relazione alla solidarietà ospedaliera, carceraria et cetera, certamente è implicito che vale per tutti gli altri amministratori di tutte le istituzioni pubbliche e private, nonché per tutti i cittadini, che intelligentemente dovranno adoperarsi alla buona riuscita di questo magnifico progetto, cui sto facendo cenno, con tanta solidarietà religiosa con i novelli sacerdoti, non più elettori di feticci per loro scelta umana e cristiana, ma apostoli e missionari senza frontiere.
Non se ne può più. Aborriamo la guerra tra gli uomini e seguiamo i sentieri della pace. Vogliamoci bene, non ci costa niente, anzi assaporeremo la vita e sentiremo il suo buon gusto dall’alba al tramonto.
Homo homini deus et toto pectore amare e non più homo homini lupus, questo dovrebbe essere il motto che dovrebbe guidare gli uomini, poiché sappiamo tutti quanti gravi conflitti ed orrendi, deleteri atti terroristici, come ci tramanda la storia, produce l’applicazione della dannosa frase di Plauto, sopra riportata.
L’indignazione, talvolta, mi spinge a ripetere cose che tutti sanno, soprattutto moltissimi intellettuali che conoscono profondamente i fatti storici a menadito; ma anche senza essere un intellettuale, quindi un normale cittadino come me, ci si accorge dell’amara realtà e non si può continuare a vegetare passivamente, si sente proprio il bisogno umano di spronarsi e spronare i propri simili a cambiare rotta nella direzione sopra descritta per il bene personale e di tutta la collettività.
Qualcuno, con cui ho dialogato, magari in maniera sommaria, su questi argomenti, mi ha risposto che sarebbe giusto che le cose cambiassero ed anche gli uomini, ma aggiungeva anche che sarebbe stato meglio se ognuno di noi, senza affannarsi tanto a pensare a trasformare gli altri, migliorasse se stesso.
Ma io ritengo che le mie sollecitazioni a chi certamente non è sordo naturalmente, ma ha solo gli orecchi otturati e non la mente, possano suonare echi armoniosi per poter distrarre la sua attenzione nella giusta direzione.
Adesso, però, vorrei ritornare a ricordarmi dei miei anni infantili, perché alla mia età è piacevole qualche volta ricordarsi del tempo passato; sembra quasi di avere qualche anno in meno e, se si va un po’ sovrappensiero, proiettandosi nella realtà di allora con la fantasia, si riesce a rivivere quella stessa età, in cui avvennero quei remoti fatti.
Ritorna di nuovo alla mia memoria quella casa di campagna, ma soprattutto la vegetazione di allora di quel sito e la vista panoramica. Si andava lì di solito nei mesi estivi e durante tutto quel periodo mio padre, mia madre ed io ci alzavamo all’alba ed al suo chiarore, seduto a terra o appoggiato al tronco del carrubo, io aspettavo, aspettavo per mirare l’aurora, che mi offriva i primi raggi del sole, che risvegliano dolcemente la natura.
Era bello stare immerso nella natura; mio padre e mia madre m’insegnavano sempre più ad amarla, standole spesso vicino, passeggiando e mirando, ascoltando i suoni e i silenzi magari seduti su un greppo.
Quante volte, appoggiata la mia testa sulle ginocchia di mia madre, seduta su un muretto antistante la casa, in silenzio ascoltavo dei grilli i loro striduli suoni, il garrire delle rondini, il chiù dell’assiuolo. “La natura - mi diceva mia madre - è anch’essa una dolcissima madre, che comprende i bisogni dei suoi figli ed a loro si dona, sempre incline a concedere i frutti e l’oblio necessario alla vita”.
Sin da piccolo io ero vicino alla natura, che spesso suscitava in me sensazioni infinite ed indefinite: suoni, richiami, ricordi; i miei compagni durante la mia permanenza in campagna erano sempre gli uccelli, le piante, i fiori, gli insetti etc…
I palpiti della natura li sentivo dentro di me e volentieri mi abbandonavo ad essa in contemplazione, confondendomi nel verde e respirando l’aria balsamica che oggi non è conosciuta ai più; godere del suo contatto, della sua pace e dei suoi paesaggi campestri significava vivere ed ammirare i quadri più belli in un loro continuo rinnovarsi. Quanti aspetti lieti o melanconici si colgono nella natura immersa nel silenzio arcano, rotto soltanto da qualche isolato rumore.
Incantato, io ti ho cantato, natura, alla luce del sole ed a quella delle candele; tu mi hai ispirato sentimenti ed hai prolungato nel mio animo le sensazioni più forti, che poi sono sfumate in un alone di spiritualità indeterminata.
L’aria fresca e pura del mattino, passeggiando con mia madre, ossigenava la mia mente e, aspirandola, sentivo che si espandeva nel mio petto, dando vita al mio spirito ed al mio corpo. Nell’ora lunare scendeva balsamico il silenzio ed i pensieri sfumavano nell'oblio del sonno. Era bello vivere, ero felice e tra gli alberi correvo spensierato, rincorrendo farfalle, grilli, lucertole ed uccelli; mi arrampicavo sugli alberi e, gridando la mia gioia al silenzio, rotto soltanto da quegli esseri armoniosi che io prima mentovai, assaporavo la vita e ritornavo, poi, nella mia vecchia casa di paese, ritemprato.
Questo rimpianto della vita in campagna, da dove a forza le migliori e giovani braccia si allontanarono per cercare altrove il sudato pane, c’è ancora e soprattutto oggi.
La vita per me era luce e speranza. Non mi mancava niente, ma non avevo niente. La mia infanzia come quella di tanti ragazzi non fu da me vissuta negli agi, ma anche la mia giovinezza e la mia maturità ebbero la stessa sorte. I miei giocattoli me li costruivo con materiali di risulta: cerchi di biciclette, pezzi di stoffa, scatole di cartone, stecche di parapioggia e tanti altri materiali che è inutile elencare; da questi prendevano forma palle da gioco, carri, case, archi etc. Ero contento ed anche soddisfatto di costruire i miei giocattoli, anzi i nostri giocattoli, poiché a quel lavoro partecipavano con tanta inventiva e perizia molti miei compagni di strada.
La strada ci vedeva crescere e ci forgiava alla vita. Si giocava quindi sulla strada o meglio sulle strade, dove s’impara a vivere, a socializzare, a costruire, ad inventare, ad immunizzarsi, a soffrire, a gioire, a conoscere la generosità, l’amore, la cattiveria, l’odio e tutto ciò che di positivo e di negativo offre all’uomo il quotidiano vivere. La strada è, come ho già detto, l’officina dove gli uomini plasmano le loro menti e il loro corpo. Gli sforzi per superare le difficoltà della vita e le sofferenze temprano la mente dell’adolescente, che divenuto uomo, poi non sarà mai nel bene o nel male “ una canna che si piega al primo soffio di vento ”.
La sofferenza certamente sulla terra regna sovrana dall’alba al tramonto della vita, ma l’uomo, che la conosce sin dai suoi albori, poco dopo la sua nascita, avendola incontrata più volte ovunque, credo che potrà sicuramente fregiarsi del predetto appellativo e sentirsi veramente uomo solo se accetterà la sofferenza medesima come ingrediente del suo quotidiano vivere e dominerà la stessa, traendo il bene e il bello che essa produce all’animo umano.
Bisogna guardare all’orizzonte, i monti e le valli non dovranno mai ostruire il nostro occhio, ma intrepidi bisogna valicare gli stessi, che s’interpongono tra la nostra mente e l’orizzonte. I monti e le valli, che non sono altro che i falsi piaceri, le menzogne, le cattive persone, i facili guadagni, le illusioni, le mollezze, le compagnie di falsi amici.
Durante questo viaggio forzato sulla strada ho incontrato, ho conosciuto e quindi ho abbandonato le predette zavorre, inutili pesi, che fanno arrancare e talvolta fanno segnare il passo, impedendoci spesso di arrivare in tempi brevi all’orizzonte del bene o di farci perdere completamente durante il cammino.
Certamente il cammino è lungo ed impervio, s’incontrano tempeste e tenebre; all’orizzonte, però, svaniscono le stesse per lasciare poi libero il passo alla luce, che lo spirito risveglia.
All’orizzonte l’incubo s’annienta ed io sono rinato più temprato e pronto a rivivere e a donarmi per il bene della collettività, credendo nell’amore e nella libertà, che sono i motori che sollecitano alla solidarietà umana ed alla naturale conservazione di tutte le specie esistenti sulla terra.
Niente di nuovo, perché tutti sappiamo che è così per aver letto tanto e dialogato a lungo su questi argomenti, su cui di solito siamo d’accordo solo quando si disserta sugli stessi; ma se ci sarà un eventuale lettore di questo mio modestissimo scritto, spero che per lo stesso queste mie parole possano avere l’effetto martellante della buona pubblicità e si renda conto che è tempo di mettere in pratica per il bene comune ciò che è oggetto di mera dissertazione.
La strada m’insegnò ad amare e ad odiare. Io, crescendo, scelsi l’amore e con esso la libertà. Amore, significa rinunziare al benessere personale, sublimarsi attraverso di esso.
L’amore ha le più spiccate risorse per guarire qualsiasi ferita e, quando s’impossessa del cuore dell’uomo, lo trasforma e gli dà una forza che lo rende invincibile a qualsiasi attacco.
L’amore nutre l’uomo e lo nobilita, è la vera ragione del nostro quotidiano vivere e del nostro sereno morire.
Queste parole, mentre scrivo, mi fanno ricordare i miei primi elementari, ma vitali educatori: mio padre e mia madre, scomparsa da poco, il 13 dicembre 2004, la quale qualche giorno prima di morire, conversando con me su diversi argomenti, infatti, fece riferimento ai predetti valori, ai quali ho testé accennato. Ella fu per mio padre la sua collaboratrice ed il suo appoggio, sempre al suo fianco nelle poche gioie e nei tanti dolori. Io non vi dimenticherò, finché vivrò, o miei amati maestri! Ho legato i vostri due cognomi per onorarvi anche così. Dall’età della ragione ho sempre creduto nella parità tra uomo e donna e nel loro reciproco rispetto tanto, da capire che é giusta cosa che il cognome della donna-madre non rimanga ignoto dopo il suo matrimonio; anzi, sia di prestigio ai figli potersene fregiare. Non mi soffermo su questo argomento, poiché, a prescindere dal pensiero di qualche imbecille, è lapalissiano quanto ho già testé scritto. Quindi pari diritti, pari doveri e pari dignità in tutte le direzioni e in tutte le espressioni del quotidiano vivere. Le leggi dello Stato possono sancire tanti comportamenti, ma sono delle imposizioni; quindi, se non ci sarà coscienza, l’annosa lacuna nei confronti della donna non sarà mai colmata e l’uomo sarà monco.
Dianzi accennavo alla libertà, che non è libertinaggio, ma la spinta più forte che sollecita l’uomo ad agire con consapevolezza sempre per il bene del prossimo.
L’uomo, infatti, perché possa compiere le sue buone azioni ha bisogno di sentirsi libero di agire e di adoperarsi senza nessuna costrizione, in quanto è di sua natura aspirare alla libertà.
Io sentii forte questo bisogno nella mia adolescenza, che più intenso divenne poi in tutte le prossime fasi evolutive della mia vita. Così vissi non da liberto, ma da uomo libero.
Tutti gli esseri della terra vorrebbero vivere in libertà la propria vita, ma soprattutto l’essere umano sente questo bisogno innato di vivere liberamente, soffrendo o gioiendo; però, è giusto che l’uomo, agendo sempre per il bene collettivo, non rifiuti l’esperienza altrui o il buon consiglio.
La libertà, infatti, come ho già detto, non è libertinaggio, ma giusto discernimento dei fatti, dei sentimenti, premio e castigo, equilibrio della mente nei confronti di tutto.
L’uomo libero non vive con ipocrisia, nella menzogna, anzi è sempre alla ricerca della verità, che rende sempre luminoso il suo sentiero, come individuo, come persona e come membro della società mondiale.
Io ho sempre amato la verità, mi sono sentito più forte nel ricercarla e nel diffonderla unitamente agli ideali di libertà, che danno coraggio di lottare contro il male e riescono sempre a ristabilire in noi l’equilibrio, che talvolta si perde a causa delle pressioni esterne o degli istinti.
Io ho avuto dell’amore, della libertà e della verità una grande attrazione. So anche che la gioia si conquista giorno per giorno col sacrificio e col sapersi accontentare e che rispondere al male con il bene è la più grande “vendetta” e il più alto riconoscimento che l’uomo può elargire a sé stesso, facendo un sommo bene alla collettività.
Qualcuno però potrebbe dire che non è bene dire tutto ciò che si sente nella propria mente, anche se fosse bene tutto quello che si sente, in quanto è bene anche frenarsi nel dire liberamente ciò che si sente, soprattutto quando non si vive liberamente. Simulare e dissimulare è oggi condizione del cosiddetto vivere civile e poiché alla natura umana non è data la possibilità di vivere nella luce della verità, chi vuol vivere da uomo libero è ritenuto un Don Chisciotte, che non conoscendo la dissimulazione e volendo vivere nella verità, è un visionario, un pazzo.
La simulazione e la dissimulazione qualcuno dice che è un’arte, un’arte indispensabile per l’uomo ed anche legge di vita perché non viva la stessa in maniera miseranda, scegliendo un inutile sacrificio, vista la brevità della vita.
Io credo però che chi vive nella verità o alla ricerca della stessa assolve al compito umano pienamente, chi vive con ipocrisia e nell’ipocrisia vive in uno stato di difesa e di offesa; poi quali sono i confini che dividono la difesa dall’offesa? Non si conoscono mai, perché non è possibile stabilirli e pertanto dilagano i conflitti a qualsiasi livello, che distruggono la serenità del quotidiano vivere umano.
L’uomo non può vivere oggi come viveva nei tempi remoti o come vivono gli animali della foresta, sempre attenti a difendersi, perché c’è sempre in agguato un altro animale che li sovrasterà prima o poi per la sua stessa sopravvivenza. Ma tutti sappiamo che gli animali prendono quanto basta e non di più ed aggrediscono solo per i suddetti motivi.
L’uomo non può stare sempre attento in uno stato di continua difesa, non può stare sempre attento a scoprire il suo simile se quando parla, quando si atteggia, quando agisce è alla ricerca della verità per il bene comune o simula.
Uno scrittore, di cui non ricordo il nome, scrisse: “Tra le cime dei monti c’è tanta distanza, ma tutti poggiano sulla stessa terra. Gli uomini sono distanti tra loro, come le cime dei monti, ma non dovrebbero mai dimenticare di stare vicino, tanto vicino tra loro, poiché poggiano sulla stessa terra, su cui si ergono”.
Un giorno, dialogando con un uomo “politico”, a cui avevo fatto omaggio di un mio libro di poesie, lo stesso mi disse, dopo averlo letto, che condivideva il mio pensiero, ma aggiungeva anche che “carmina non dant panem” e chi scrive versi perde il suo tempo, in quanto per contribuire al progresso di una società ci vogliono programmi, idee concrete e non sogni.
Siate voi, lettori, a dare la risposta. Io dico soltanto che l’uomo cesserà di esistere come tale dal giorno in cui non leggerà più una poesia o non sentirà più il bisogno di scrivere qualche verso dettato dal cuore per descrivere un’emozione di gioia o di dolore. Per poesia intendo il termine greco “poieo”, che significa creo, creazione in senso lato: musica, pittura, scultura etc.
Noi, dominati dal vuoto spirituale, avendo eclissato molti valori stiamo creando il presupposto per annientare l’uomo, cioè la sua humanitas, che è proprio la morte del silenzio, cibo di cui si nutre la poesia. Oggi le masse senza cervello si entusiasmano e delirano per calciatori o per cantanti e questa è una realtà squallida e demenziale; è così, perché manca un’educazione all’ascolto della voce interiore dello spirito.
Oggi, più che in altri tempi avremmo bisogno di mettere in pratica il detto “in te ipsum redi”, per poter vivere nel rispetto dei valori, di cui il più importante è la pace tra gli uomini.
Si sono costituiti e si costituiscono tanti Ministeri, talvolta o spesso inutili, in tutti gli Stati, cosiddetti civili ed avanzati, ma i politicanti, operanti negli stessi, non hanno mai pensato dolosamente alla costituzione perpetua del Dicastero della Pace, come organismo di tutela preventiva e permanente della stessa.
Il Ministero della Pace dovrebbe sovrastare tutti i Ministeri, che allo stesso dovrebbero far capo e riferire prima di procedere su qualsiasi cosa, che verrebbe disapprovata, se fosse più o meno in contrasto con i principi di amore e di pacifica convivenza della collettività mondiale o che potesse minimamente sconvolgere l’equilibrio della terra.
Le istituzioni devono cambiare rotta e coloro che le gestiscono devono prendere coscienza e far prendere coscienza con tutti i mezzi, che sono tanti oggi quelli di cui disponiamo.
Agire quotidianamente senza frodare il proprio simile produce ricchezza a tutti gli uomini della terra, nonché all’ambiente in cui viviamo.
E’ inutile cercare fuori, cercare altri pianeti, se ancora non conosciamo il nostro e non amiamo quelli che ci stanno intorno.
Come possiamo amare o aiutare la sorte di altre popolazioni meno fortunate di noi che abitano altri luoghi, ma sul nostro stesso pianeta, se neghiamo il saluto al nostro vicino? Come possiamo vivere in pace, se costruiamo la stessa non sull’amore, ma sul timore? L’equilibrio del terrore non potrà mai essere approvato in una società umana.
E’ tempo che i cosiddetti potenti della terra si rendano conto, prima che sia troppo tardi, che di questo passo porteranno i popoli in continuo conflitto tra loro ad un definitivo eccidio cosmico.
E’ tempo di prevenire questo male, di cui conosciamo la causa, perché quando si userà il bisturi per estirparlo, lo stesso avrà ramificato nel corpo e nell’anima troppe metastasi.
E’ tempo di abbandonare, mi riferisco a coloro che detengono il potere a qualsiasi livello nei vari settori di tutte le istituzioni pubbliche e private, il falso concetto, dietro al quale ci si maschera, che è il popolo che fa l’uomo politico; infatti, il politico, se onesto, non scende a patti con chi attenta al benessere della collettività, ma fa in modo nella stesura delle leggi e nel suo quotidiano agire di non perdere mai di vista il compito che il popolo gli ha affidato e cioè la gestione della vita umana in tutte le sue sfaccettature.
Quindi, non assolvendo a tale compito, ma anzi provocando dolosamente gravi danni alla collettività, dovrebbe essere per le sue devianze mentali curato e rieducato poi al vivere sociale, perché di malato di mente si tratta e non d’altro.
Chi non aiuta, infatti, il proprio simile o non lo compensa, se non è all’altezza di certe situazioni, senza farlo sentire minimamente inferiore, attenta alla vita dello stesso.
Altri malati di mente sono i cosiddetti sedicenti nobili titolati e non: re, principi, duchi, conti, marchesi, baroni, cavalieri, papi, cardinali, vescovi, monsignori, presidenti, eccellenze, eminenze ed altre lordure inventate in altri tempi, oggi anacronistiche, dai nostri antenati pecorai e contadini, che asservirono allora i loro simili più deboli e cominciarono ad inventarsi i vari titoli, di cui per diversi secoli si sono fregiati ed oggi si fregiano con tutti i relativi privilegi a discapito dei sudditi.
Ecco, questi uomini sono altri malati di mente, come ho detto, che potrebbero essere curati, pagando con le loro stesse ricchezze, accumulate e distorte ai loro sudditi con varie magagne, il personale addetto a tale scopo, non gravando così sul bilancio della collettività; così come avviene per le ricchezze accumulate illegittimamente da altri malati di mente, che chiamiamo “mafiosi”. Questo sarebbe un grande esempio di giustizia sociale, che avrebbe una lunga risonanza, facendo sentire tutti gli uomini uguali durante la vita, così come avviene alla loro morte.
Nessuno dovrebbe essere proprietario di terreni, di case, di gioielli e quant’altro, ma solo gestore, ripeto gestore, che con il buon senso del padre di famiglia dovrebbe gestire non più di quanto gli è necessario per vivere dignitosamente, sic utere suo ut alienum non laedas, cioè usare ciò che gestisce in modo tale da non danneggiare mai l’altro, e non per sopravvivere in maniera asservita e miserrima, con sottomissione e con paura.
Qualsiasi professione dovrebbe essere esercitata con dedizione, con passione e missione senza scopo di trarne maggior lucro, ma solo espletata esclusivamente per il bene collettivo.
Nobile è colui che con le azioni compiute a favore del suo simile migliora le condizioni di vita di tutti gli esseri esistenti sulla terra, avendo un solo scopo, quello di vivere e far vivere bene durante la sua breve esistenza i coevi e in prospettiva le generazioni future.
Prendete coscienza voi che vi dite nobili, eccellenze, eminenze, dottori; solo così da malati di mente, riacquisterete la salute e tutta la collettività da questa azione ne trarrà esempio e nel prossimo avrà sempre più fiducia.
Nessuno dovrebbe mai sentirsi migliore o superiore all’altro, perché tutti abbiamo gli stessi bisogni, le stesse necessità: convivere vuol dire condividere il tutto, dialogare in maniera costruttiva, operare tutti insieme, aiutarsi reciprocamente e quant’altro di bello e di buono, perché la collettività ne tragga beneficio, mentre sopraffare l’altro vuol dire sopravvivere con sofferenza e morire e far morire a poco a poco, senza mai poter gustare le gioie che la breve vita ci offre.
Si dice che i forti desideri, più puri e più veri, ai quali tanto si anela, si realizzino sempre. Io voglio a tal proposito testimoniare che questo è vero, perché mi viene confermato dalla mia esperienza: mio desiderio era di servire la gente più debole e tutte le mie attività nei diversi settori del lavoro mi hanno messo in contatto con gran parte di essa ed io spesso mi sono identificato con quella gente quasi sempre a me ignota, con cui ho dialogato in maniera solidale, dando e ricevendo reciproco benessere e gratitudine. Così ritornando a casa mi sentivo gratificato di aver dato pace, seppure momentanea ad un mio simile, che avevo cordialmente ascoltato.
La pace si costruisce così, con la vera fratellanza, con il sereno vivere, con la fiducia tra i popoli; solo così si potrà definitivamente porre fine a qualsiasi conflitto. La pace non può nascere da intese diplomatiche tra potenti, ma dallo scambio culturale tra gli uomini, che deve basarsi sulla verità, sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, superando le false ideologie, gli interessi personali e qualsiasi forma di egoismo.
E’ tempo non più di combattere, ma di costruire i presupposti di pace, eliminando gli squilibri economici e sociali esistenti sulla terra. E’ tempo di educarsi all’ordine, serva ordinem et ordo servabit te; l’ordine, infatti, aborre la violenza.
E’ tempo di educare alla pace con l’esempio e la primaria officina è proprio la famiglia e la scuola, se le stesse insegnano a vivere la libertà con la convinzione che ogni essere vivente è un tassello importante come tutti gli altri che compongono il cosmico mosaico.
E’ tempo che i re e le regine, i papi e le papesse abbandonino lo scanno, i pulpiti, le cattedre, gli sfarzi e seguano l’esempio di San Francesco d’Assisi. Ed aggiungo ancora che conviene agire in tale direzione, in quanto annienteremmo l’invidia, l’orgoglio, la superbia ed altri bassi sentimenti, che velano gli occhi e non fanno focalizzare all’orizzonte i sentimenti del bene: la fratellanza, l’uguaglianza, la libertà, che, come dicevo, sono i sentimenti di quello che io definisco “egoismo buono”, che sicuramente è quello che dà dignità all’uomo, in quanto essere razionale.
Politici o meglio politicanti, amministratori di Chiese, di Tribunali, di Scuole, di Ospedali, di Carceri, Scienziati, Istituzioni pubbliche e private, nonché altri addentellati a qualsiasi livello, applicate la vera democrazia, servite il popolo, dategli la migliore sedia e i migliori consigli, quando si presenta al vostro cospetto nei vari dislocati uffici, quando chiede notizie o quant’altro a voi impiegati, talvolta parassiti esuberanti ed impreparati.
Cambiate rotta, siate onesti e preparati a servire il vostro simile, che vi paga per rendergli utili servizi e non per poltrire nell’ignoranza, rubando il cosiddetto “27 ” ed altre indennità dirette a seconda del livello di appartenenza ed indirette a seconda dell’illecito camuffato.
Chi fa politica e poi è eletto ad amministrare la cosa pubblica dovrebbe percepire un giusto stipendio e, se già fruisce di una retribuzione, dovrebbe solo cambiare lavoro e scegliere uno dei due stipendi, versando l’altro in un fondo di garanzia per lavoratori disoccupati o in altri fondi di pubblico bene.
Ritengo anche che per il periodo, in cui svolge attività politica, lo stesso dovrebbe lasciare il lavoro, cui è adibito, e dedicarsi solo ed esclusivamente alla politica, percependo la stessa retribuzione mensile, già percepita.
Il cittadino eletto, se è disoccupato, dovrebbe percepire lo stipendio per il tempo in cui svolge il suo mandato politico e poi , terminato il mandato, se non più eletto, dovrebbe percepire l’indennità di disoccupazione dignitosa come un normale cittadino, che ritorna ad essere disoccupato.
Chi poi avesse redditi alti e proprietà immobiliari, sicuramente accumulati a danno del prossimo, dovrebbe restituire tutto all’erario in maniera di compensare coloro che non hanno. In questo modo, forse, non avremmo tanta povertà e ci sentiremmo politicamente in senso classico più vicini l’uno all’altro.
Tutto ciò che io in questo momento sto pensando e scrivo chiaramente dovrà essere oggetto di attento esame per trovare la giusta soluzione, sempre avendo riguardo alla collettività.
Giusto sarebbe, in ogni caso, che, a prescindere dall’attività svolta, a qualsiasi livello il lavoro fosse distribuito e retribuito in maniera paritaria per tutti i lavoratori, certamente avendo riguardo alla predisposizione ed alla preparazione di ognuno di noi, in maniera di poter rendere di più e far meglio ciò, di cui ci si occupa.
Tanti in questo momento sicuramente hanno avuto uno scatto e si sono alzati dalla loro sedia, leggendo queste parole, che per loro sono spine che pungono il sedere.
Vergognatevi di far sentire “nessuno” il popolo, d’imbrogliarlo, e a suo discapito arricchirvi.
Rivolgete l’orecchio nella giusta direzione e sentirete un suono armonico levarsi e non i quotidiani rumori dissonanti della guerra tra gli uomini, che tutti i mezzi di comunicazione ci propinano pur di dare notizie, non curandosi del grave danno che arrecano alle menti, soprattutto alle deboli menti.
Anche questi avvoltoi, però, da questo danno ne traggono profitto, mettendo in pratica un antico detto: “il fine giustifica i mezzi” e il “buono pasto”, io aggiungo, giustifica la notizia, anche falsa, (non già che il fine giustifichi i mezzi, come spesso balordamente ripetono cattivi e goffi studenti; la frase, infatti, non è del Machiavelli, ma fu coniata nel periodo della controriforma ed è proprio il contrario del suo pensiero che, purtroppo, corre sulla bocca di tanti. Sono i mezzi adeguati, infatti, che finiscono invece col giustificare i fini; soltanto la sapiente scelta dei mezzi può dare nobiltà all’azione che si compie. Questa è la giusta interpretazione del pensiero del Machiavelli).
Ritornando ai mezzi di comunicazione, si può affermare, infatti, con cognizione di causa che nessuno di questi è indipendente, libero di poter dire, ma al servizio esclusivo di partiti o di gruppi di pressione ed anche per quei pochi che volessero uscire dai binari esistono condizionamenti indiretti d’imposizione tali, da renderli, in qualche modo, dipendenti.
Una volta si diceva che la stampa fosse il quarto potere dello Stato, forse lo era, chissà, ma penso che da molti anni tutti i mezzi di comunicazione non lo siano più, in quanto non svolgono più la loro libera funzione d’informazione e di critica.
La libertà del dire viene repressa e difficilmente ciò che gli addetti ai lavori scrivono o dicono è vera espressione di ciò che sentono, ma, da asserviti, per il “buono pasto”, propinano “notizie” a fiumana e, noncuranti del danno arrecato alla collettività, danno “libero” sfogo alla libertà o meglio al libertinaggio di chi ha abbastanza denaro e potere per comprare la loro lingua e la loro penna, quindi il loro cervello. Ma ad un uomo, cui è asservito il cervello, cosa resta? Chi è? Non è forse uno schiavo?
La tratta, dunque, esiste ancora ed è reclutata con i sistemi nepotistici approvati dai politicanti o dai monsignori disonesti, che fanno proliferare sempre di più la sicura tratta, asservita da anni al loro volere, che avrà per sempre gli occhi al fatto, ma la mente criticamente rivolta, spesso a suo malgrado, solamente al bene del feticcio, da cui dipende. Ahimè, che amara realtà!
Durante la mia adolescenza, durante la giovinezza e poi durante la maturità anch’io, come tanti incontrai molte difficoltà, ma non mi sottomisi a nessuno, non fuggii in maniera codarda, anzi cercai di valicare il muro che ostacolava il mio passaggio e questo ho fatto spesso con maggior lena, perché questo m’insegnò la strada e l’esempio dei miei genitori che, pilastri del nucleo familiare, mi allevarono con amore, dandomi sempre col dialogo lezioni di vita.
Più volte mi sono sentito stanco e sconfitto, ma con coraggio ho ripreso più volte la mia lotta per non essere asservito, usando le sole armi, di cui dispongo: la parola e la penna, avendo orrore delle altre armi e della violenza. Io ho stima di quei giovani e poi di quegli uomini dignitosi che, non si arrendono di fronte alle avversità della vita, che non si sottomettono a nessuno, che non strisciano ai piedi dei propri simili divenuti “potenti”. Così agendo, si è d’esempio ai propri simili e l’amore, la libertà e la verità rimangono sempre i cardini del vivere da uomini liberi e non da schiavi. Vale la pena sacrificarsi e soffrire un po’ per mantenere vivi i valori, cui testé ho accennato. Credetemi!
Siate puliti dentro e fuori, siate forti e lottate, o uomini, contro tutte le negatività che vi circondano, opponendo alle stesse pensieri positivi, atti di bontà, di generosità, di coraggio, da cui trarrete nuovo slancio e darete sicuramente nuovo equilibrio all’anima, che sollecita la mente ed il corpo a vivere in simbiosi e in sintonia. Lo squilibrio, infatti, regna sovrano solo se in un corpo cresciuto alberga una mente debole ed un’anima infantile.
Si dice, infatti, mens sana in corpore sano, perché fra i due ci dev’essere, come ho già detto, simbiosi, sinergia, perfetta sintonia tra le loro attività; perché questo avvenga è necessario fare riferimento alle parole scritte sul tempio di Delfo: “conosci te stesso”; tale formula indica e l’interesse per l’uomo e il proposito di ricercare una dottrina-norma sull’uomo che valga per tutti. Grande adagio dell’antichità, che vale perché intimamente legato a conoscere gli altri; infatti, l’uomo solo non esiste.
L’uomo è soltanto apparenza, sono gli altri che gli daranno il suo volto, perché attraverso la conoscenza di sé e degli altri, in un rapporto continuo, egli può agire in maniera benefica sugli altri e per gli altri.
Conoscere se stessi, tra le altre interpretazioni, in senso lato, per chi sta bene, significa star meglio e per chi è malato essere per metà guarito.
La mente dà ordini al corpo e, talvolta o spesso, lo condiziona con le sue immaginazioni, spesso false, e con le sue emozioni. L’angoscia, gli scrupoli, le nevrosi sono atti della mente che prima influenzano il corpo e poi gli fanno rivivere fenomeni d’origine psichica in maniera negativa.
Adesso vorrei ricordarmi dei tempi della mia giovinezza, di quel tempo in cui crebbi e diventai adulto, raggiungendo la maggiore età, ventuno anni, cui tanto aspiravo, come molti giovani, che l’attendono con ansia. Chissà, perché; ma così è.
Questo periodo di grandi possibilità è però anche una fase della vita, come dice uno psicologo, durante la quale la maggior parte dei giovani deve pagare uno scotto per il privilegio di crescere. Questo è il periodo in cui si sentono forti contraddizioni; da un lato si desiderano fare grandi cose e dall’altro ci si sente insicuri. Si cerca di scoprire il mondo esterno nella sua realtà, di comunicare con gli altri, ma si soffre, purtroppo, contemporaneamente nella maniera più irrazionale di solitudine e di paure.
Un vecchio saggio mi disse: “ Diventare adulto, però, significa raggiungere l’equilibrio tra la mente ed il corpo. Diventare adulto è il sogno d’ogni adolescente, che attende con impazienza talvolta il momento della sua indipendenza, della sua autonomia e della gestione della sua totale libertà. Ma diventare adulto spesso significa raggiungere il libertinaggio, non la vera libertà, che è conoscenza di sé, saggezza, discernimento e non mistificazione dei propri sensi e dei sentimenti verso gli altri. Diventare adulto significa saper ragionare ed agire costruttivamente verso sé stessi e verso gli altri, di modo che le azioni compiute da noi possano migliorare noi stessi ed essere poi d’esempio ai nostri simili, che, se vogliono, possono imitarci. L’uomo, infatti, è il più grande imitatore e molte azioni le compie così, che magari, talvolta, sfociano in competizioni costruttive o distruttive; costruttivamente trova benessere, distruttivamente la competizione devìa in sopraffazione di sé stesso o degli altri. E’ necessario avere padronanza di sé in tutti gli atti quotidiani per vivere, come mangiare e bere nella giusta misura e quindi favorire la digestione; non avrebbe senso, infatti, compiere i predetti atti, ingoiando grandi quantità di qualsiasi cibo per distruggersi. Quanto già detto, vale anche per la mente; infatti, assumere moltissimi concetti, significa confondere la stessa, se non si dà ai concetti medesimi un giusto ordine, cancellando ciò che non è buono e conservando l’essenza dei migliori ”.
Incisi nella mia mente quanto il vecchio disse, ma la padronanza di sé chiaramente si acquisisce nel tempo e si consolida progressivamente, facendo così maturare il giovane e rendendolo sempre più equilibrato.
Divenni adulto, ma mi sentii anche sperduto, privo di appoggio spirituale-ideale; sorse così la coscienza del franare di ogni punto fermo, del perire di ogni speranza e di ogni illusione.
Diventare adulto fu anche insoddisfazione del presente e della realtà. Mi pervase un sentimento di sproporzione tra la realtà che mi circondava e l’ideale, mi avvolse una profonda tristezza, una tristezza romantica, un’inquietudine profonda, che però attraverso interiori tempeste, riuscii a superare e ad acquistare una nuova fede e viverla. Ma prima di superarla, mi sembrò essere una malattia, una brutta malattia e così, ancora poco temprato, io ero spadroneggiato da questa “malattia”, ero stato fatto schiavo del sentimento. Mi abbandonavo spesso agli eccessi della mia immaginazione e crollavo quindi inesorabilmente nello scontro con il reale con dolore e pianto.
Credo che anche spiriti forti in questa fase evolutiva della vita soffrano invero di più o di meno, ma se si è avuta una buona e forte educazione dalla famiglia e dalla strada, penso che ci si risani, come avvenne a me, e si possono poi anche trarre dei benefici ed acquisire delle capacità di più larga comprensione umana.
Questo è un momento delicato della vita, durante il quale per superare lo stato d’infelicità del presente e la cruda realtà che ci circonda, si cerca di evadere dalla stessa realtà con ogni sorta di fuga: nella natura, nell’amore, nell’arte, nello spazio, nel tempo etc.
Così facendo, con riferimento a ciò che avevo studiato, sentivo un ritorno nostalgico al passato, al mio passato, che mi sembrava bello nella lontananza, perché irrevocabile, ma anche speranza nel futuro; vagheggiavo lontani paesi, isole deserte. Immaginavo di vivere una vita misteriosa, piena di avventure, di fantasia. La mia fuga, però, si diresse soprattutto verso l’amore, a cercare l’amore come piena espressione della vita, della mia vita. I sensi si affinarono a mano a mano, fino alla sublimazione.
Adorai la donna come creatura umana, ma anche come un idolo, capace di emanare tanto fascino da dare colore e significato alla vita umana. Indi mi rivolsi all’arte per trarre dal mio intimo tutto ciò che sentivo, poiché ritengo che essa dia libertà assoluta: sollevandosi, infatti, sulla materia, avendola prima conosciuta, dischiude, poi, la mente dell’uomo all’espressione più alta dei sensi verso tutto ciò che lo circonda, senza limitazione alcuna di tempo e di spazio.
I tentativi di evadere, però, nonostante i miei sforzi, di uscire dal finito, dal reale si concludevano sempre in una sconfitta ed era sconfitta anche ciò che sembrava più certo: l’evasione attraverso l’arte; infatti, l’artista, sebbene sogni, è sempre legato alle cose ed il trionfo della fantasia è sempre adombrato dal disagio dell’attuale.
Nulla, purtroppo, è sufficiente ad appagare pienamente il desiderio di libertà assoluta, da cui sono stato sempre tormentato. Da ciò malinconia, dolore; l’insoddisfazione mi avvolgeva l’anima e spesso mi balenava in mente un’altra fuga, la fuga nella morte: speravo di trovare in essa la pace e il riposo ai miei affanni; ma talvolta la vedevo anche come ribellione contro il destino avverso o contro la società ostile, come affermazione di libertà spirituale o come sublimazione dell’amore o forse come principio della vita, lontano da tutti i limiti e da tutti i vincoli che incombono sulla natura umana.
Sognavo emozioni ed azioni, nonché modi di vivere diversi da quelli degli altri uomini comuni e propri della natura umana; intensamente sognavo, ma la realtà fatalmente era spesso diversa. Allora accusavo il destino e lo sfidavo sempre di più, quando ero più vicino alla mia sconfitta.
Ero pronto ad uccidermi, poiché vedevo nel suicidio non il più alto atto di viltà e di debolezza, ma la più strenua sfida contro il destino. Ma anche qui sentii che con la morte avrei annientato un corpo; infatti, sarebbe rimasto vivo solo un disvalore, un atto di mera viltà e di conclamata debolezza, che non dovrebbero mai identificarsi con la natura umana. Con quell’atto insano quali insegnamenti avrei tramandato?
La vita umana ha uno scopo ed è degna di essere vissuta. Chi dolosamente agisce per modificare il suo normale iter, sconvolge il sistema e tutta la collettività ne paga il fio.
Questa è la mia esperienza. In ogni caso con molte rinunzie, con tanti sacrifici, con intense introspezioni e continue ricerche, dopo tante incertezze e dopo dolorose ricadute questo travaglio mi ricompensò e, pur se fragile, ripresi lena, opponendomi con più vigore alle alterne vicende dell’umana sorte.
Così ritrovai finalmente la serenità perduta, a cui tanto anelavo, e quella certezza di sentirmi fratello degli altri uomini, con cui dialogare e costruire sempre meglio e nella giusta direzione la pace per la salvaguardia di tutti gli esseri della terra e dell’ambiente in cui vivono.
La pace, la tanto agognata pace, che tutti cercano, ma pochi, purtroppo, ne creano i presupposti perché la stessa regni sovrana sulla terra.
La pace costruita sul dialogo e sullo scambio continuo di atti di bontà e di solidarietà, costruita sulla forza di vincere i turbamenti, sulla padronanza di certe insicurezze, che danno vita alla pace interiore, che è l’espressione dell’equilibrio delle forze che presiedono allo svolgersi della vita quotidiana: il giorno e la notte, il sonno e la veglia, il lavoro e il riposo, la mente e il corpo.
Come si nota l’uomo si trova ad affrontare questa condizione dualistica e, se queste condizioni si alternano in maniera equilibrata, l’uomo vive, viceversa si ammala.
La mente e il corpo, come si è più volte ripetuto, devono vivere in accordo tra loro; nessuno dei due può essere l’una nemica dell’altro, devono per forza vivere in simbiosi per istinto di conservazione dell’umana specie; la mente, infatti, ha il compito di rendere vivo il corpo, inviando impulsi ai suoi organi. Così l’uomo è spinto a nutrirsi per vivere, ad usare gli organi sessuali per riprodursi e così via. La mente dà vita al corpo, senza di essa lo stesso sarebbe solamente un cadavere.
La mente è preposta, come si nota, alla crescita morale e spirituale dell’uomo, ma quando essa per qualsiasi devianza coltiva il proprio orgoglio, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, insomma tutti gli interessi personali e i bassi sentimenti essa fallisce il segno, l’obiettivo si svia e non assolve più al compito, cui è preposta. Vengono fuori così la desolazione e il turbamento, situazioni morbose, malumori, ingordigia, pigrizia et cetera e, finché la mente rimane attaccata ai suoi errori, i predetti malesseri non cessano e l’ansia del domani rovina l’oggi e il domani.
Credo che la mancanza d’equilibrio fra la mente ed il corpo provenga dall’ignoranza dei legami profondi che li uniscono. La mente ed il corpo non sono mai in conflitto tra loro, perché sono fatti per intendersi e completarsi. Il corpo e la mente sono due compagni che viaggiano insieme per tutta la vita ed insieme cercano la serenità e la pace, che se posta su basi materiali o desiderata al di fuori delle difficoltà della vita di ogni giorno, non è la vera pace, ma la fuga e quindi la guerra con sé stesso e con gli altri.
La salute è in stretto rapporto con la serenità dello spirito e la tranquillità del cuore. I conflitti segreti della personalità turbano profondamente le funzioni organiche e si sa che c’è un legame tra certi stati psichici e manifestazioni patologiche.
Per essere in pace l’uomo deve essere d’accordo con la natura, perché è proprio essa che produce ed elargisce gli elementi da cui egli stesso trae vita. Perché ciò avvenga, bisogna cancellare dalla mente in maniera critica tutti i falsi feticci, che i mezzi di comunicazione ci presentano, inculcando falsi sensi di colpa ed altri gravi danni a tutte le popolazioni della terra.
Qualsiasi senso di colpa compromette l’equilibrio psichico e semina disordine nell’anima e nel corpo. Le colpe sono morali; infatti, il corpo non può agire da solo, essendo strumento dell’anima.
L’anima dà gli ordini e il corpo li esegue, ma se gli ordini sono sbagliati la conseguenza materiale di questi comportamenti la degrada. Non vi è dunque colpa materiale, perché la materia non ha in sé alcun carattere morale.
La pace si acquisisce man mano che si allontana l’agitazione dei pensieri, il tumulto dei sentimenti, i capricci della volontà e l’orgoglio.
L’orgoglio è il padre di tutti i vizi; dove c’è orgoglio vi è posto per tutte le devianze che ne derivano. La scomparsa dell’orgoglio e dell’egoismo suo cliente è sufficiente per risanare l’atmosfera morale e per costruire i pilastri della pace, della pace duratura. La pace ha bisogno di controllo dei pensieri, di dominio dei sentimenti e di libertà di ciò che si vuole.
L’uomo equilibrato, la cui anima è gioiosa, la cui esistenza si svolge sanamente, che pensa agli altri più che a sé stesso e si rallegra della loro felicità, possiede la pace e la diffonde intorno a sé. La pace è uno stato di benessere mentale che, in simbiosi col normale funzionamento degli organi del corpo, produce un benessere generale.
Un medico mi disse una volta che la salute è la pace nel silenzio degli organi. La pace interiore si vive nel silenzio. Quando i nostri organi tacciono, il nostro corpo vive senza difficoltà. La pace è la salute dell’uomo e sta nella concordia con sé stessi e con gli altri.
L’uomo, che si smarrisce, che fugge, che cerca all’esterno, nei falsi idoli le ragioni del suo comportamento non troverà mai pace. Bisogna imparare a vivere secondo le regole della salute e le regole derivano dalla natura stessa del corpo.
Per vivere l’uomo necessita di molte cose e fra queste le più importanti, anzi le primarie sono il cibo, l’acqua, i vestiti ed una casa. Nutrirsi e coprirsi, vuol dire conservare la vita del corpo, captando gli elementi del mondo materiale, ivi compresa l’atmosfera dalla quale il nostro organismo trae sostanze indispensabili, che conferiscono all’individuo, attraverso processi di trasformazione chimica, benessere mentale e resistenza fisica.
Il nutrimento è necessario allo spirito e agli organi del corpo, che sono legati tra loro in perfetto ed ordinato funzionamento; la sua mancanza o il suo eccesso, infatti, provocano nell’organismo quei disordini, che sono le malattie, talvolta letali, alle quali non accenno, essendo le stesse oggi note a chiunque.
Vivere è un’arte e l’artista è l’uomo. L’uomo crea la sua vita, usando le parole, i colori, le linee e i toni a lui più confacenti per procurare a sé ed alla collettività gioie, sollecitando le illimitate ricchezze nascoste della sua anima per migliorarsi continuamente, per crescere spiritualmente e sviluppare il coraggio e la fiducia, qualità indispensabili che si sostengono reciprocamente, se si conduce una vita regolata. Solo così i dolori, le sofferenze, le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino non sono causa di disordine fisico, mentale e spirituale, ma anzi stimoli per l’anima in armonia con la vita.
Questo controllo richiede senza dubbio grande sforzo, ma ne vale la pena; infatti, svaniscono le paure e la fiaccola della pace brilla sul nostro volto.
Oltre al cibo, l’uomo deve lavorare e riposare, allo stato di veglia deve alternare lo stato di quiete. Ma in uno Stato senza diritto, anticostituzionale, senza quiete, fraudolento, che dà solo incertezze, come può l’uomo riposare e ritrovare sé stesso?
In che modo l’uomo può alternare allo stato di veglia lo stato di quiete, se è costretto a convivere con tante quotidiane preoccupazioni e col dubbio. Come possono i cittadini essere sollecitati all’humanitas, se l’esempio e il comportamento dei politicanti e dei governanti, fatta eccezione per una sparuta minoranza, è proprio in antitesi con i precetti di fratellanza: leggi, decreti, privilegi, immunità, impunità, tutto a discapito della sicurezza e dell’educazione dell’infanzia, del sereno vivere delle famiglie, della protezione degli anziani etc…
Il popolo, che dovrebbe essere sovrano, in fatto è asservito dai suoi deputati, che già solo per questo commettono un delitto contro la Costituzione e pertanto dovrebbero essere immediatamente incriminati. Ma non è così; infatti, il popolo rimane schiavo dei suoi deputati e solo se si prostituisce agli onorevoli feticci al massimo diviene liberto, come avveniva nell’antica Roma: quello schiavo, divenuto liberto, acquistava solo alcuni diritti, ma non tutti i diritti che avevano i liberi cittadini.
In che modo l’uomo può svolgere il suo lavoro serenamente e poi, soddisfatto, riposare, se mancano le condizioni?
I cittadini come possono cautelarsi col risparmio, sottratto a rinunzie d’ogni sorta, se in combutta si fa in modo di truffarli, eludendo la loro fiducia con false promesse ed occhiolini?
Se le autorità, preposte al controllo preventivo e successivo della gestione del denaro presso società, sono presenti solo per percepire gli emolumenti derivanti dalla loro carica ed assenti nel giusto espletamento delle loro funzioni, il cittadino onesto come può difendersi?
In che modo può difendersi l’umile ed onesto cittadino, se le predette società di comodo, che nascono come funghi, vivono e s’ingrassano al servizio dei delinquenti di qualsiasi livello amministrativo, politico ed ecclesiastico?
A chi può rivolgersi, se le onorate società hanno il monopolio dell’illecita gestione del privato e del pubblico denaro, che talvolta arriva sporco, perché distorto da uomini sporchi ad onesti cittadini lavoratori ed a poveri risparmiatori?
A chi può rivolgersi l’onesto lavoratore, se l’onorevole lordume, fatta salva una sparuta minoranza, in combutta poi si accorda e fa le leggi a suo piacimento e a discapito del popolo, godendo di assurdi ed iperbolici privilegi, indennità, pensioni d’oro in poco tempo ed altro, che non vale la pena elencare, perché tutti sanno? E chi non lo sa può erudirsi in merito, leggendo il settimanale l’Espresso del 1 dicembre 2006, che ha riportato l’elenco di tutti i privilegi.
A chi può rivolgersi, se sulla passerella delle comunicazioni la relazione audio-ottica che ne deriva è la sfilata delle false immagini dei feticci, dai linguaggi politichesi o altre porcherie di loro invenzione?
A chi può rivolgersi, se la strada del potere è tutta disseminata d’inganni e di dissimulazioni, di astuzie e di fraudolenti sottigliezze mentali? E’ indegno sapere che un tale chiamato Berlusconi, che ha rappresentato l’Italia come Presidente del Consiglio, per farsi imbottire la testa di peli è andato incoerentemente in Svizzera e per un intervento non difficile al cuore si sia fatto ricoverare in America, denigrando così la Sanità italiana.
Ma a chi giova tutto questo, se si guarda un po’ più lontano dal proprio naso?
A chi giova il motto divide et impera, se la morte ci segue a gran giornate, dando a tutti lo stesso sito e pure la medesima forma?
Scellerati, siete degli scellerati voi che la fate da padroni in una repubblica democratica, che ha la fortuna di conoscere, purtroppo, solo il significato del termine d’etimologia greca. Siete degli scellerati, di un’avidità insaziabile, che, compatti, bramate le stesse cose, odiate e temete le medesime cose, il che tra furfanti si chiama connivenza e che tra gli uomini probi si chiama amicizia.
Io non mi sono mai sentito a mio agio con gli uomini politici, anzi mi sono sempre estraniato per i motivi predetti, poiché non ho mai condiviso che la gestione della cosa pubblica si fondi sulla connivenza dei potenti, ma, com’è giusto, su un bene comune. A fondamento di una buona gestione devono essere posti valori come virtus e probitas, nonché uomini di specchiata onestà, di specchiata moralità deontologica, forze di coesione che abbiano rapporti di sincerità col popolo, che siano alieni dal vortice delle convenienze personali, dai compromessi, dai compari, dai ricatti, che siano semplici e schietti, esenti da doppiezze, simulazioni ed occhiolini. Questi sono i requisiti essenziali per rigenerare la nostra società.
Bisogna prendere coscienza che il conflitto di fazioni in lotta tra loro per il predominio, che le cricche contrapposte, che in maniera alternata governano, abusando delle cariche e favorendo i propri sostenitori, prima o poi sfociano in delinquenza sociale.
Uomini intelligenti voi sapete già che cos’è la politica, ma non volete applicare la giusta interpretazione, che è il naturale sentimento che unisce le anime degli uomini nobili ed onesti per gestire il popolo.
La politica è un sentimento forte che vincola gli uomini onesti in legami di sangue; la politica è condivisione di gioie e di affanni in una comune tensione verso il bene e il giusto; la politica è armonia e comunione d’intenti nel superiore interesse della collettività, del demos.
Gli elettori onesti vogliono che gli uomini politici onesti, cui accordano la loro fiducia, siano migliori di loro stessi, sia intellettualmente, che di capacità; vogliono che gli uomini politici, cui onestamente si appoggiano, restino sempre coerenti all’onesto mandato ricevuto.
Gli uomini politici dovrebbero essere dei buoni filosofi; infatti, cos’è la filosofia se non l’amore e la continua ricerca del vero, che, se non trova la sua applicazione nel giusto, non ottiene certamente lo scopo, che si è prefisso.
La politica, quindi, deve essere aliena dal calcolo o dalle necessità personali, non dev’essere connivenza o complicità nelle azioni disonorevoli. Il governo dello Stato comporta la stessa diligenza, lo stesso impegno di governare la piccola società, che si chiama famiglia; infatti, il buon padre di famiglia guida la stessa con amore ed è proprio l’amore che lo sprona a spendere tutte le sue forze onestamente per migliorare la sopravvivenza del suo nucleo familiare.
Non ricordo dove ho letto del grande filosofo greco, Socrate, una frase, con la quale rispose ironicamente al suo interlocutore, a proposito di un suo conoscente che era ritornato dopo tanto tempo da un lungo viaggio, che non lo aveva per nulla migliorato: “Sai perché è sempre lo stesso? Perché si è portato dietro sé stesso”. Ascoltate gli insegnamenti di chi ha tanto pensato per il bene comune, anche se poi, calunniato come corruttore dei giovani, come di solito succede, il suo premio fu la cicuta. Leggete di Socrate, maestro nel pensiero e nella parola, ribelle ma tranquillo, rinnovatore ma sereno, filosofo ma fanciullo nello spirito, insomma uomo di grande personalità morale, leggete anche una sola volta Fedone di Platone, ne trarrete beneficio, arricchirete il vostro spirito.
A che serve all’uomo il potere, la gloria e quant’altro di effimero, se gli stessi, come diceva uno scrittore, sono il sole dei morti: il sole acceca chi lo guarda e i morti non possono guardare il sole, quindi i predetti disvalori sono solo devianze, che, usandole o meglio abusandole a scopi personali o di partito, come abitualmente succede, portano alle discriminazioni ed ai perenni conflitti.
A proposito di conflitti sarebbe giusto che i capi delle varie Nazioni, esistenti sulla terra, per evitare stragi immense di cittadini, invece di assistere alla guerra in maniche di camicia o in altri modi e luoghi, combattessero l’uno di fronte all’altro con le armi a loro più idonee e chi poi restasse vivo avrebbe ragione sull’altro. Ma noi, che oggi riteniamo di essere civili, non violenti, come è giusto che sia, potremmo usare come armi gli scacchi. Che ve ne pare? Uomini d’ingegno, elaborate l’idea! Quanti affetti e quante cose non sarebbero distrutti? Quanti soldi sperperati per le guerre potrebbero sfamare, istruire, bonificare, insomma migliorare la sorte degli uomini e dei luoghi in tutte le parti della terra? L’odio non si vince con l’odio e più si accentrano le ricchezze, a discapito del popolo, più si accentra la noia, più si è soli e delusi. Non bisogna mai distrarre la mira dall’obiettivo che è la vita e non altro: se vogliamo vivere e non sopravvivere in conflitto, è sacrosanto che dobbiamo far vivere gli altri alla stessa maniera. Solo così potremmo godere in parte i giorni della nostra vita; in parte, poiché l’altra parte è governata già dalle malattie e dalle catastrofi naturali.
Un popolo progredisce e potrà dirsi civile quando compensa chi ha o è di meno. Noi, cosiddetti popoli progrediti, non siamo né civili, né umani, perché non ci adoperiamo nella direzione sopra descritta, in quanto invece di aiutare i popoli in difficoltà, andiamo a sperperare risorse economiche ingenti per stupide conquiste terrestri e spaziali, inquinando lo spazio e non garantendo attraverso studi e ricerche gli esseri viventi sulla terra da frane, terremoti e quant’altro, di cui siete a conoscenza.
Un popolo progredisce se usa le energie terrestri con parsimonia, cura l’ambiente e non altera la natura, se non ricorre alle armi per risolvere le controversie, se lavora la terra e trae i frutti senza inquinare il sottosuolo, se lavora nelle fabbriche e le stesse non avvelenano l’aria e le acque, se gli agglomerati urbani sono a misura d’uomo valido o invalido, se la burocrazia in applicazione delle leggi oneste risponde con dovuta preparazione alle domande ed ai bisogni della collettività, se i giovani a massa non si trasferiranno dal sud al nord, se non s’investiranno miliardi di euro per uno stadio, mentre si obbligano migliaia di lavoratori a mendicare una modesta abitazione per la quale devono pagare un esoso canone mensile, se la scuola non rilascerà diplomi e lauree a chiunque, a discapito dei migliori, avendo talvolta i peggiori a causa della raccomandazione le porte più aperte rispetto agli altri testé menzionati, se non ci sarà più nepotismo, se la sanità funzionerà con umanità e con preparazione, se la stampa darà notizie utili e costruttive in piena libertà, se i cittadini si sentiranno e vivranno veramente la libertà e la fratellanza. Credo che ciò possa bastare per avere un po’ di sicurezza ed un po’ di tranquillità.
Ma si può essere così ignoranti, imbecilli, disonesti o folli da non capire che se ognuno di noi gode del tutto un po’, quanto basta per il sereno vivere quotidiano, annienterà l’invidia, la delinquenza, il dissapore e quant’altro di nocivo esiste? Dicevo gode, per significare che l’uomo deve beneficiare gratuitamente, deve usufruire di ciò che gestisce con diligenza solo temporaneamente, perché di gestione si tratta, come ho spesso ripetuto. Nessuno possiede niente o peggio ancora è proprietario in perpetuo, essendo breve la vita ed incerto il domani.
La proprietà, infatti, è un’illusione molto negativa che comprime e distrugge la vita propria e della collettività.
Oggi si parla tanto di “globalizzazione”, ma bisogna creare i presupposti, che sono morali, umani. Nessuno dovrebbe essere proprietario, come ho già detto, ma solo gestire e percepire un salario, uguale per tutti a prescindere dal lavoro svolto, per il dignitoso vivere della famiglia; nessuno dovrebbe mettere soldi in banca, poiché proprio questo tipo di falsa ricchezza è la causa prima di discriminazione civile; non ci sarebbe più motivo di praticare questo falso discriminatorio risparmio, creando sicurezza nel quotidiano vivere dei cittadini del mondo, dando loro dignità morale e parità economica al lavoro sotto l’egida della giustizia distributiva.
Chiudete le banche, covi di strozzini autorizzati all’usura e a quant’altro d’illecito, al servizio dei potenti di tutte le caste mafiose, politiche e religiose, ed istituite sani enti di studio economico e politico formati da probi viri per lo sviluppo e il benessere mondiale, rendendo sempre più moderni i servizi utili a tutta la collettività.
Se gli uomini non inculcheranno nella loro mente la predetta coscienza sociale, penso che si può solamente affermare che in terra all’onesto cittadino non resta altro che subire, oltre che l’ingiuria, anche la beffa e nel continuo divenire dei tempi tra gli uomini ci sarà un’alternata metabolica vendetta tra il vinto ed il vincitore sempre alla riscossa.
Non si può amare i cani, i gatti, insomma gli animali, se non amiamo il vicino di casa, se non curiamo con amore e rispettiamo i nostri simili. Come si può pensare che ai nostri animali diamo cibi con vitamine, proteine, grassi, scegliendo così migliaia di quintali, anzi di tonnellate di scatolette più idonee al nostro animale e non pensiamo che in varie parti del mondo, quindi dei nostri vicini di casa soffrono e muoiono per mancanza di medici, di igiene, di acqua, di cibo e di tante altre cose, mentre noi portiamo dal veterinario anche per farli castrare, o per far togliere le unghie o per intervenire sulle corde vocali, perché non diano noie, il cane o il gatto o tanti altri animali, che potrebbero vivere liberi nel loro ambiente, come sarebbe giusto, ed autonomamente come fanno tutti gli animali nella foresta.
Sono un pazzo, se, riflettendo, noto e biasimo il comportamento umano, che da una parte è prodigo e dona a piene mani e dall’altra nega il tutto al suo simile? Niente da eccepire, anzi è encomiabile il comportamento dell’uomo verso gli animali quando li cura, ma lo stesso dovrebbe fare nei confronti del prossimo, suo simile; non certamente quando li sottomette ai suoi delittuosi bisogni.
Credo che chi si comporta così sia veramente affetto da debolezza mentale o d’incapacità logica, a causa delle quali succedono le disastrose vicende, cui poi col dito in bocca o a bocca aperta assistiamo, senza accorgerci che le mosche entrano ed escono dalla stessa. Poveri imbecilli!
Un attento lettore sicuramente dirà: “Che pazzo, questo inutile scrittore!”. Forse è vero, ma è l’unica strada da intraprendere, uomo assennato. Oggi sembra utopia ciò che penso, ma come sempre il senno del tempo tradurrà in realtà le odierne utopie. Solo che non si potrà attendere tanto.
L’uomo è meglio che prenda coscienza al più presto, si adoperi, perché ciò avvenga in tempi brevi e possa essere fiero di non avere causato ancora una volta catastrofi irreversibili sia ambientali che terroristiche. Si dice che è pazzo l’uomo che ha torto ed ha ragione chi invece esprime il pensiero della classe dominante.
Se non vuoi passare per pazzo domani, ascolta, uomo politico sapiente, il presunto pazzo di oggi.
Una volta ebbi la fortuna di dialogare con un saggio uomo politico sull’argomento testé descritto e lui così mi rispose: “ Sai, amico, la politica è una scienza, che durante la ricerca dovrebbe solo tendere a migliorare i rapporti tra gli uomini ed a salvaguardare l’ambiente, nonché le risorse, di cui si dispone, distribuendo il tutto a tutti, per evitare i dissapori e le discriminazioni tra i popoli, che aprono poi le vie al terrorismo; ma, purtroppo, chi detiene il potere esclude la ricerca e mira alla conquista. La politica, quindi, non è più una scienza, ma solo conquista del potere a discapito dell’umile, dell’ignorante, del debole; insomma, a discapito di tre quarti del popolo mondiale, che sopporta e si astiene: classico esempio di totale debolezza e classico esempio di morale da schiavi, rifiuto d’ogni scelta e d’ogni azione”.
Ma io ho fiducia e penso che i tempi e le menti siano maturi per svegliarci dal lungo letargo e finalmente prendere coscienza di tutto ciò che ha prodotto e produce effetti deleteri.
Il popolo, che sopporta e si astiene, è un corpo sociale malato e se non prende coscienza, attuando la massima “nosce te ipsum”, non guarirà mai e i politicanti, detentori del potere, faranno della sua malattia la propria salute.
Oltre al cibo, come ho detto sopra, l’uomo deve lavorare e riposare; allo stato di veglia, deve alternare lo stato di quiete.
Il sonno è una necessità primaria e insostituibile. Ma se si è travagliati da molteplici preoccupazioni, da tante agitazioni e da ogni sorta di sollecitazioni il sonno non è più sufficiente a ritemprare la mente e le membra; l’ansia e la depressione prendono il sopravvento, causando gravi danni a chi soffre ed a tutta la collettività, essendo queste patologie naturalmente di pregiudizio alla sicurezza, ma anche di dispendio.
Così ci si trova nei luoghi di lavoro stanchi, poco produttivi e poco vigili, predisposti all’infortunio e a quant’altro, perché il decadimento fisico e mentale non è sincrono col ritmo della vita, che più che far vivere porta inesorabilmente ad una continua e progressiva distruzione.
Anche i conflitti che insorgono a causa delle difficoltà e delle preoccupazioni, oltre che inasprire i rapporti tra gli uomini, si ripercuotono in maniera disastrosa sull’educazione; infatti, la vita di un uomo, dissestata, produce effetti non sani nelle sue molteplici manifestazioni affettive nei confronti degli altri, ma soprattutto nei confronti della sua famiglia; se poi ha anche dei figli, gli stessi subiranno l’influsso negativo sul modo di valutare e di vivere la loro vita affettiva e sentimentale.
Ma allora, se l’evidenza è questa e tutti, credo, ne siamo coscienti, qual è la società che noi vogliamo costruire? Tutti sappiamo che le difficoltà insolute fuori, ce le portiamo a casa ed anche quando cerchiamo di nascondere ai nostri figli i nostri contrasti, le nostre difficoltà, loro hanno capacità intuitive che, pur se piccoli, si accorgono delle tensioni affettive, più di quanto non pensino gli adulti.
Si può senza dubbio affermare che tutte le predette condizioni, aggiunte anche a quelle economiche, purtroppo, compromettono la serenità familiare e l’educazione dei figli, che divenuti adulti, pur di non vivere in quell’atmosfera di opprimente preoccupazione in cui crebbero, deviano nell’aggressione, quindi nella delinquenza in senso lato, o nell’autodistruzione, rifugiandosi nelle varie devianze, che conosciamo tutti, ma sulle quali, pur avendo tutti i mezzi per annientarle subito, stiamo a dialogare sul da farsi, mentre l’epidemia si diffonde incontrastata.
Ahimè!
La nostra civiltà c’inganna, perché ci fa credere che lo scopo principale per vivere sia quello di approvvigionarsi di denaro a qualsiasi costo e in qualunque modo, a discapito di chiunque, purché si soddisfino poi esclusivamente gli interessi personali. Allora tutto si fa in competizione, in lotta con gli altri ed, infine, la sopraffazione sovrasta i più deboli, che perdono, ma che si preparano di nuovo, come ho già detto, alla riscossa.
Così la nostra mente e il nostro organismo soffrono e, poiché sono spinti a funzionare oltre le loro normali possibilità, si esauriscono e vengono attaccati da malattie degenerative.
Questo stato di sofferenza si potrebbe evitare e si potrebbe conservare intatto il proprio equilibrio, se ci si fermasse, dando forza al corpo ed alla mente raccoglimento per recuperare ciò che pensiamo di avere perduto, di perdere o di non riuscire a possedere.
Mentre le membra sono nello stato di quiete, la mente si acquieta con la riflessione, si rasserena con i ricordi, con le immaginazioni, che danno alla stessa e di riflesso al corpo tanta nuova vitalità, una nuova concezione di relazionarsi col mondo e col vivere di ogni giorno.
L’equilibrio si raggiunge con l’introspezione e la volontà, nonché con la continua ricerca della verità.
L’uomo, così agendo, stigmatizzato il suo vecchio ed abominevole operato, ritrova sé stesso e con questo continuo esercizio sollecita il pensiero a rendere positivo ciò che negativo appare, fortifica la sua volontà ad agire ed affina la sensibilità ad operare per il bene, traendone così sempre vantaggi morali, che sono per sé medesimo immensa e duratura ricchezza.
Se quanto ho scritto non riuscirà a scuotere la mente del lettore, anche di un solo lettore, perché arrivi a capire che l’unico obiettivo per l’uomo è la vita, che ha bisogno di pace per essere vissuta e che la pace si costruisce con la verità ( il racconto del sacrificio di Gesù sulla croce è l’esempio supremo, sublime, perché Gesù è la verità ), con la compensazione tra gli uomini e con l’amicizia (tra tanti esempi mi sovviene Damone e Pizia) come valori ideali e con le quotidiane esigenze umane per indirizzare la mente verso i predetti valori, che sono una casa dignitosa per tutti, un dignitoso lavoro svolto con dedizione e con passione e non a scopo di lucro, un salario dignitoso unico per tutti per qualsiasi attività svolta, onde evitare le discriminazioni che creano le disparità di trattamento e l’iniquo arricchimento, un premio, consistente in un viaggio o altro, mai in denaro e simili, a chi si è distinto nella ricerca di meglio servire la collettività, vuol dire che il mio scritto ha fallito l’obiettivo.
Questo, infatti, è l’obiettivo che mi sono prefisso, scrivendo; ma se il mio sforzo nell’esprimere o nel rappresentare quanto penso dalla mia penna non fosse stato bene descritto ed il lettore non dovesse incontrare l’interesse che io volevo suscitare, il medesimo lettore, che certamente è acuto più di me, capirà che se anche il mio mezzo non funziona, chiaramente il grande fine che mi sono prefisso sostanzialmente non è sbagliato affatto. I miei tentativi, scrivendo e divagando, sono forse inadeguati, talvolta possono magari esasperare, rendere male la mia idea, ma il mio fine, ripeto, è uno solo: tendere al benessere del vivere sulla terra, amando il prossimo.
Solo chi nutre amore per il prossimo può dirsi uomo ed è degno di tale appellativo, se comprende profondamente il significato della vita ed il significato della verità e come tale poi, se vorrà, potrà anche interessarsi di politica in maniera umana e religiosa, applicando il detto religa et impera e non più divide et impera. Io, infatti, identifico i due termini politica e religione, sempre autonomi e dipendenti tra loro nell’espletamento del loro sublime compito.
So benissimo che il sentiero da percorrere per raggiungere i predetti umani obiettivi, cui anelo ed ai quali anelano tanti miei simili, è lungo ed impervio; ma se ognuno di noi si scrollerà dalla mente a poco a poco la zavorra che la ingombra e l’appesantisce e poi la inonda d’amore, credo che il mio pensiero, qui descritto, raggiungerà lo scopo ed io, che in vita non ho avuto lodi, premi, poteri, perché a questi non ho mai aspirato, avrò la desiata ricompensa, anche tra tanti secoli, di non esser vissuto invano o da ignavo, di essere stato presente ed attivo, sensibile ai bisogni altrui e di avere dato con orgoglio e senza bavaglio attraverso il mio scritto il mio piccolo contributo ai miei posteri, di aver sollecitato il mio simile a ricordarsi di non perdere mai la sua natura umana, quindi la sua humanitas, e di agire sempre onorando il suo appellativo.
Questo è il mio desiderio e, credo, di tutti gli uomini, che magari vorrebbero agire, parlare o gridare, ma, purtroppo, per varie ragioni giuste o ingiuste tacciono.
Credo anche che tra tanta folla di scrittori venali, il mio modesto pensiero, espresso in queste righe, non troverà, purtroppo, lo spazio per potersi diffondere. Ahimè!
Comunque queste sono le mie esperienze, che, non per vanagloria, ricordando e riflettendo con divagazione, ho voluto descrivere, perché il lettore, come ho già detto, possa trarne le sue conclusioni; se poi qualcuno ne avrà anche un piccolo beneficio per qualche sua introspezione, al fine di modificare in meglio il suo modus vitae e quello dei suoi simili, ritengo di poter dire umilmente, ma con soddisfazione, di non aver perduto l’olio e la fatica, nonché di poter concludere questo mio scritto, aggiungendo con gioia : “finis coronat opus”.
10 febbraio 2007
Tutti i miei scritti, inseriti in questo sito, sono stati pubblicati da vari Editori dal 1971 al 2014.
Pietraperzia fu il paesino dove nacqui e dove trascorsi pienamente la mia infanzia, nonché parte delle altre fasi evolutive della mia vita.
Adagiato su un letto collinare, in provincia di Enna, il predetto piccolo paese è situato al centro della Sicilia o Cicilia, come la ricorda Dante nelle sue tre bellissime e profondissime cantiche. La Trinacria, altro appellativo della Sicilia, si dice che fu la prima provincia di Roma e, come ci tramanda la storia, anche teatro di tante guerre e di molteplici dominazioni: romane, ostrogote, bizantine, saracene, normanne, sveve, angioine, aragonesi, spagnole, austriache ed altre, che nel bene e nel male hanno lasciato le loro vestigia in tutta l’Isola.
Per la sua posizione geografica la Sicilia potrebbe essere un giardino di olezzanti fiori, se la stessa natura estinguesse le poche cattive piante dai fiori velenosi, che, fiorendo, poi i semi all’aere espandono col vento, mentre la terra se ne impregna, partorendone altri ancora più malvagi.
Oh natura inconsapevole, prendi coscienza e non far fiorire più le piante venefiche, rendendo sterili i loro semi! E voi, piante dai fiori profumati, svegliatevi e producete semi più potenti, tanto potenti e forti da rendere sempre più esiguo lo spazio alle predette piante, perché i loro semi si annientino per sempre sotterra per non vedere più la luce.
La Sicilia potrebbe essere, invece che il sud dell’Italia, il nord dell’Africa; potrebbe essere una nazione civile come la Svizzera, ma più bella e più completa, perché, oltre alle bellezze naturali che possiede la predetta nazione, vi è anche il mare.
La Sicilia potrebbe essere per la sua bellissima posizione geografica un sito veramente ameno, se si debellasse, però, come ho già detto, la distruttiva feccia, se si risanassero le menti malate e, rimboschendo tutto il territorio, si dotasse quindi di strade bene asfaltate, di strutture alberghiere, d’infrastrutture e di quant’altro per renderla tutta un perfetto paradiso del turismo.
Il popolo siciliano, forse, starebbe così bene fisicamente, spiritualmente ed economicamente da non dovere, forse, più strisciare ai piedi dei “potenti”, da non doversi più inchinare a nessuno per sottomissione, ma solo per salutare il suo simile per apprezzarlo ed essere apprezzato solo perché uomo; per il benessere che si verrebbe a creare la gente non solo non avrebbe più motivo di emigrare per cercare altrove un lavoro, ma lavorerebbe proficuamente e con gioia nel sito dove nacque e vivrebbe soprattutto nella serenità e nel calore familiare.
Qualche asservito lettore sapiente ed istruito, di quelli a cui la scienza gli cola fino alle ginocchia dirà: “Quanta utopia! Dove vive questo sognatore e misero scribacchino?”. Mentre il solito leccaculo politicante o mafioso dal cervello arido ed ignorante nella maniera più rozza aggiungerà: “Chissu pazzu è! Chi voli cangiari lu munnu stu minchiuni?”. Ma qui mi fermo, con la speranza che i benpensanti e ce ne sono tanti, ma non escono allo scoperto per paura, possano dare una giusta risposta, in quanto io non sarei in grado.
Chissà perché, quando affiorano i miei ricordi sugli eventi del passato o del presente, io, riflettendo, divago? Me ne accorgo, però, in certi momenti mi piace così: ricordare un fatto, esporlo, accennandolo, divagare sullo stesso per un po’ e poi rientrare di nuovo in argomento. Questo mio modo di scrivere non so a quanti piacerà, ma io, poiché in questo momento mi viene spontaneo scrivere così, lo ritengo valido: non essendo monotono, terrà forse più attenta la mente del lettore.
Ritorno quindi a ricordare il mio paese, dove mio padre possedeva una modesta casa in campagna, non molto lontano dal centro abitato, che si raggiungeva, infatti, con una giumenta, mezzo di trasporto della nostra famiglia, ma quasi tutte le famiglie allora possedevano un equino o più di uno come mezzo di trasporto non solo, ma anche e soprattutto per i ricorrenti lavori della terra, essendo in quel tempo gli abitanti del predetto paesino, come tanti altri, prevalentemente dediti all’agricoltura e in minor misura alla pastorizia.
In quegli anni quasi tutte le case di campagna erano regolarmente abitate dagli stessi contadini, veri coltivatori diretti della terra, che purtroppo col cosiddetto “padrone”, proprietario dei terreni concessi agli stessi a mezzadria, dovevano dividere a metà i prodotti del suolo e degli alberi o quant’altro si ricavava dalla coltivazione del terreno ed anche dall’allevamento del bestiame.
Allora era questa la prassi, ma, come sempre, le concessioni a mezzadria, enfiteusi, colonia, soccida ed altre forme di contratto si concludevano a discapito del più debole, del misero contadino, che non poteva lamentarsi e sopportava spesso in silenzio e in modo dimesso le angherie del padrone in aggiunta alle pesanti fatiche quotidiane per potere sfamare sé stesso ed i suoi familiari.
I cosiddetti padroni, proprietari terrieri, chiamati anche “nobili”, si riunivano in Pietraperzia in un locale chiamato Casino o Circolo dei nobili, dove, per averlo frequentato nella mia giovanissima età, avendo qualche amico “nobile”, notai che più che nobili, in relazione al loro comportamento gli stessi erano uomini triviali e sboccati, dei disonesti bighelloni, che s’impinguavano, facendo sudare i sottomessi contadini, che erano sempre pronti a riverirli, salutandoli così: “Voscienza benedica”. Con qualche riserva, talvolta il loro sudiciume morale, rivestiva anche il loro corpo. Erano dei prepotenti e più volte mi accorsi che erano pronti, anche senza nessun motivo, seduti in estate su uno spiazzo davanti all'ingresso del circolo, a mortificare la dignità di qualche donna, che di là passava, o di investire ad alta voce i loro contadini, che magari chiedevano loro di differire la data di qualche cambiale o quant’altro.
Questi cosiddetti “nobili” erano quelli che, approfittando della povertà e delle difficoltà dei loro sudditi, pur non praticando ius primae noctis, soddisfacevano i loro piaceri con le mogli o con le figlie dei predetti contadini, che abitavano in campagna nei tuguri da loro concessi. I poveri contadini, pur essendo, talvolta, a conoscenza di tali angherie, dovevano starsene zitti per non perdere quell’occasione di lavoro, unica fonte di sostentamento della famiglia.
Avevo compassione di questa gente debole che, tante volte offesa, taceva, s’inchinava e sottomessa se ne andava. Questi erano i nobili del mio paese, che io conobbi. Nelle loro case qualsiasi occasione era buona per festeggiare, mentre nelle case o meglio nei tuguri e nelle catapecchie dei poveri si accumulava la miseria su miseria con tutte le conseguenze che ne scaturivano.
In maniera diversa con sistemi apparentemente civili, diplomatici, quindi ipocriti, e con violenza psicologica anche oggi, purtroppo, nei vari settori delle attività e nei rapporti tra gli uomini prevale la legge del più forte, la legge della giungla e non il diritto o meglio l’humanitas.
Oggi, pur sporcandoci la bocca di termini civili come fratellanza, uguaglianza, libertà, pace ed altri valori, i cui significati rimangono solamente descritti sulle pagine dei vocabolari o sopra nel rigo dove io li ho testé elencati, come sempre, è purtroppo valido il detto di Plauto: “ Homo, homini lupus ”.
Ma tutto ciò in altre remote epoche, forse, poteva anche essere accettato, poiché quei tempi erano in fase di civilizzazione, non vi era tutto ciò che la scienza e la tecnica hanno prodotto e poi hanno messo a nostra disposizione; quei tempi noi li dovremmo considerare propedeutici, preparatori di una società migliore.
Letto quanto ci tramanda la storia, noi avremmo dovuto con intelligenza far tesoro delle poliedriche fatiche di tutti i nostri predecessori e mettere in pratica un altro detto, homo homini deus, si diligit proximum suum sicut se ipsum, che ci avvicinerebbe veramente al Quid superiore, cui da sempre qualsiasi uomo, di qualsiasi razza vivente sulla terra, crede in un modo o in un altro, perché sa che in lui e nei suoi simili non si concentra il tutto; sa di non essere completo e vuole appoggiarsi, trovare conforto, sicurezza. Il tutto, infatti, ognuno di noi lo cerca al di fuori di sé stesso; in alto, nello spazio, l’uomo, drizza gli occhi quando la sua mente avverte in relazione agli imprevedibili accidenti della vita la sua totale terrena impotenza.
Vorrei, comunque, a questo punto, absit iniuria verbis, esprimere un mio pensiero e vorrei anche che nessuno si scandalizzasse, anzi ne potesse trarre beneficio o sollecitazione ad approfondire l’argomento e dare più giuste spiegazioni a chi come me è poco convinto a causa delle limitatezze del proprio intelletto, per stanchezza o per varie altre difficoltà. Infatti, quando si è stanchi o in difficoltà ci si rivolge a Dio, perché così ci hanno insegnato i nostri avi e poi ognuno di noi ha fatto propria questa genetica abitudine.
La debolezza umana, la mancanza di solidarietà tra gli uomini e l’impotenza di fronte alle alterne vicende che la sorte ci oppone, fanno sì che l’uomo creda in un essere superiore a lui. Il Dio o gli Dei, a seconda di come s’ immagina ed a seconda di come si crede, in maniera monoteistica o politeistica, sono solo fantasmi, inventati dalla nostra mente debole ed ignorante a causa delle limitatezze sotto tutti gli aspetti del nostro quotidiano vivere.
Se noi vivessimo con solidarietà, se fossimo veramente fratelli, l’uno all’altro, e se avessimo la sicurezza che, riponendo tutta la nostra fiducia nel nostro simile, lo stesso poi desse a noi la prova esemplare di continuo metabolismo affettivo in tutte le sfaccettate sfere della vita, ritengo, con qualche riserva certamente, che nessun uomo nei momenti di sconforto o di qualsiasi difficoltà alzerebbe le mani al cielo per chiedere aiuto, ma si rivolgerebbe immediatamente al suo simile più vicino, al primo passante, pur non conoscendolo, perché convinto che nell’altro può contare.
Gesù in croce chiamava Dio, perché in terra sapeva che non ci sarebbe stato nessuno che l’avrebbe potuto salvare. Il sacrificio sulla croce, truce olocausto come tanti altri che la storia tramanda fino ai nostri giorni, sarà vero o falso, ma il messaggio, “ama il prossimo tuo come te stesso”, che il racconto ha diffuso nei secoli è fortemente esemplare, talmente importante che noi uomini avremmo dovuto metterlo intelligentemente subito in pratica, perché, tra l’altro, ci conviene per vivere senza disperazione, senza doverci difendere continuamente dalle azioni malefiche del nostro simile, al quale soprattutto oggi non si crede più, anzi si presume sempre che simuli e pertanto bisogna stare attenti. Cave canem!
E’ un vero peccato originale non avere inteso il messaggio di Gesù; è proprio questo, ritengo, il peccato originale che alberga in ogni uomo dalla nascita al morire; è proprio questa la pesante zavorra, di cui subito dovremmo liberarci per sempre.
Gli uomini, se intendessero ed applicassero il predetto insegnamento di Gesù Cristo, vivrebbero veramente in pace tra loro, poiché questo è l’unico pilastro attorno al quale dovrebbe ruotare ogni essere vivente. Invece c’è chi specula e trae ingenti risorse di varia natura, avendo trovato nei secoli un buon pretesto per costruire fantasmi sul sacrificio di Gesù Cristo.
Tali sono, infatti, gli amministratori della chiesa cosiddetta cattolica e per altre credenze gli amministratori di tutte le varie chiese. Questi sono gli unici che se ne giovano; come i maghi, imbrogliano i deboli, i derelitti, gli ignoranti e quanti si trovano in difficoltà; questi vivono bene a discapito di quanti nei momenti più difficili della vita ricorrono a Dio o agli Dei o ai maghi, ritenendo i sacerdoti diretti mediatori o sensali che intercedono presso Dio per avere le sue elargizioni e i maghi uomini potenti che detengono forze misteriose per debellare le negatività di qualsiasi natura e far sentire bene il malcapitato.
Adolescente e fino alla maggiore età seguivo la religione cattolica e sentivo che Dio, che è la Verità e l’Amore, si poteva raggiungere solo attraverso quel cammino, ma a poco a poco cominciai ad essere più osservatore e mi accorsi che gli amministratori della predetta chiesa più che apostoli erano, come sono, amministratori di denaro e di servizi a pagamento.
Non ebbi più quindi una buona impressione, soprattutto perché le loro prediche molto piatte erano anche ipocrite e notavo soprattutto che i cosiddetti fedeli, osservando il loro comportamento dentro e fuori della chiesa, che per me non era più affatto un’assemblea di anime pie, non erano particolarmente devoti e che andavano in chiesa più per distrarsi che per stare in raccoglimento, per rispettare le tradizioni, magari per occhieggiare un uomo o una donna, per esibirsi, per fare un defilè di moda, offrendosi così alla vendita in senso lato, per fare, come si dice, falsa politica o carriera politica, per ostentare la fede o il pentimento per poi commettere clandestinamente efferati delitti e quant’altro di non religioso e disumano.
Mi vergognavo davanti a Dio di un simile spettacolo e di non avere quel raccoglimento, che desideravo, perché distratto da quanto avveniva, nonché dai miei relativi pensieri.
Compresi che dovevo abbandonare quel luogo di falso culto della preghiera e del non raccoglimento; lì, infatti, non tolleravo che si potesse conciliare quanto, a cui ho testé accennato, insomma che Dio e Satana convivessero sotto lo stesso tetto. Non potevo andare avanti così.
Così ben presto cessai di andare a quelle funzioni teatrali religiose, che si tenevano in ore prestabilite dai vari preti sul palcoscenico della chiesa tra l’altare e la platea. Interruppi definitivamente i miei rapporti con la struttura chiesa ed eressi un mio tabernacolo nel mio cuore, avendo filo diretto con Dio, attraverso la preghiera che genuina mi usciva dalla mente e con qualche buona azione compiuta nel silenzio durante le diverse attività, a cui ero preposto ad attendere durante il giorno.
Mi riaccostai alla chiesa verso i cinquantacinque anni con tanta speranza, la seguii per un po’, ma a distanza di molti anni la ritrovai, ahimè, peggiorata alquanto. Oggi con risentimento e rabbia verso coloro che gestiscono male un bene prezioso per la vita umana e di conseguenza per tutti gli esseri e per tutto ciò che esiste sulla terra mi ritrovo a scrivere quello che il lettore legge.
Qui vorrei fermarmi, con la speranza che chi leggerà, potrà trarre le conclusioni più intelligenti. Dire di più sarebbe inutile, è la storia che ci racconta nei secoli i fatti e il cattivo comportamento degli amministratori della chiesa; fatti, che si perpetuano nel tempo e cui quotidianamente assistiamo.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La storia - diceva Gramsci – insegna, ma non ha scolari ed io vorrei aggiungere, aggiornando quella frase ai nostri tempi, che oggi la storia ha molti scolari e molti docenti, ma, purtroppo, pochi discenti e pochissimi maestri.
I cosiddetti sacerdoti hanno veramente capito da secoli il vero messaggio di quell’olocausto avvenuto duemila anni fa sul Calvario e così l’hanno scrupolosamente messo in pratica, tramandandolo nel tempo in lingua latina, greca o in altre lingue in senso lato, insomma con tutte le loro invenzioni artificiose per imbrogliare i loro proseliti, che avrebbero prodotto poi sempre più proseliti.
Così sono venuti fuori anche i Santi, altri semidei, che, come gli Dei che abitavano l’Olimpo, proteggono i calzolai, gli automobilisti , gli avvocati, i cacciatori, insomma sbizzarritevi voi miei cari lettori. I veri santi sono gli uomini che amano il prossimo ed operano nel silenzio, aborrendo il clamore di ciò che fanno.
Le beatificazioni e le santificazioni sono farse. Non è necessario fare queste cose, tributare questi cosiddetti onori, in quanto questi uomini hanno fatto il loro dovere da uomini, mentre chi sta a guardare il loro comportamento è solo capace poi di elogiare con le parole ed incoerentemente agire peggio di prima.
Poi chi sono costoro che, giudicando, beatificano o santificano? Magari, come ripeto, sono dei mascalzoni della chiesa. Lasciamo che sia Dio a giudicare, a premiare o a castigare; sostituirsi allo stesso, significa peccare di presunzione.
L’uomo non può arrogarsi questo potere, essendo fallibile, e chi a qualsiasi livello e nei diversi settori delle attività abusa, è un pazzo o un imbroglione o attenta alla grandezza della divinità, come, si dice, fece quel bellissimo angelo, chiamato Lucifero. Sostituendosi a Lui, l’uomo diventa un altro Satana e tali sono coloro che praticano codeste celebrazioni di beatificazione e santificazione, cui ho sopra accennato.
Questi imbroglioni hanno una perfetta organizzazione centrale e periferica veramente capillare dei loro vari ministeri e delle loro gerarchie ecclesiali in tutto il mondo. Anche se non è veramente cattolica in senso greco, la chiesa “cattolica” conta moltissimi esseri, credenti, meno credenti ed altri che fanno finta, che, come si nota, vanno dietro ad essa. Quindi, vista la sua organizzazione, ritengo che, soprattutto, si tratta di organizzazione politica, più che religiosa; anzi la religione per la predetta chiesa è il pretesto principe per adescare e reclutare nuovi adepti.
Penso che alberghi in quel monte Vaticano il covo della cattiva politica, da cui vengono fuori poi le diverse teste dell’Idra o i tentacoli della piovra. Vi sono, infatti, in gran parte della terra direzioni, ispettorati, agenzie, sub agenzie e collaboratori con a capo vari monsignori. La chiesa “cattolica”, nella persona dei suoi amministratori, per assolvere al suo giusto ruolo dovrebbe essere aliena dalla politica e, soprattutto, dai politicanti; i preti, infatti, sono già degli eletti, vocati a servire Dio e non dei conniventi servi-padroni dei vari partiti.
La chiesa non dovrebbe avere diritto di voto; essendo cattolica, come si definisce in senso classico, quindi universale, dovrebbe provvedere solamente alla cura delle anime che popolano la terra con i mezzi che Dio prescrive.
Il contrario di quanto sopra ho scritto produce, come ognuno di noi sa, effetti sempre più deleteri. Il compito dei preti è quello descritto dal Vangelo e non altro; chi lo sente per vocazione lo metta in maniera esemplare in pratica, chi non lo sente non sporchi l’abito talare, ma si arruoli apertamente e senza ipocrisia nella schiera dei masnadieri.
Gesù non fu un monsignore, né un pluralis maiestatis, fu un semplice uomo, un povero missionario che fu crocifisso, come si legge, perché uomo e non monsignore.
L’uomo, infatti, dice il messaggio cristiano, deve comportarsi da malfattore o da monsignore, se no finirà sulla croce.
Con qualche eccezione, molti amministratori della chiesa, cosiddetta cattolica, in pectore così nei secoli l’hanno inteso e l’intendono e di conseguenza così si sono comportati e si comportano.
Il termine o appellativo “sacerdote”, sacer = sacro e dos = dote, qualità, pregio, non lo meritano, in quanto per le loro delittuose azioni commesse nei secoli e che si perpetuano ancora oggi, come la storia ci narra e la cronaca oggi, è meglio chiamarli sacrileghi; la loro dote, infatti, è quella di far dote, arricchirsi in mille modi col pretesto di trattare il sacro, il divino.
Imbroglioni! Voi siete la zavorra più pesante, di cui gli Stati dovrebbero liberarsi. Vergognatevi, individui ipocriti, di fare scempio ed asservire i vostri simili.
Voi siete dei sepolcri imbiancati e delle madonnine infilzate. Siete proprio voi ad allontanare l’uomo dal suo simile.
Voi siete quelli che volete che gli altri facciano quello che voi dite e che voi stessi non fate, pesando gravemente sul bilancio umano.
E’ anche inutile dire di quanti privilegi godete voi e tutti i vostri addentellati.
Il cosiddetto Papa va al Gemelli per un’influenza e si mobilitano i tanti pecoroni, la stampa e quanti altri, insomma è un affronto fatto all’uomo, al povero cittadino, al lavoratore, all’anziano pensionato, a chi non ha e per questo motivo non è, a chiunque paga le tasse e non vive disonestamente o da parassita.
Ma, ahimè, possedendo quest’essere infelice solo la sua dignità di uomo, quando ha bisogno di un ospedale per malattie ben più gravi spesse volte trova tutte le difficoltà, di cui ognuno di noi sa e, non potendosi appoggiare al suo simile, che fa? Alza le braccia al cielo e prega Dio, ma la risposta è quella che ognuno conosce e quindi va dal monsignore o dal politico di turno; se non ha nessun protettore, deve pagare la tangente al personale medico o paramedico per avere qualche attenzione, che dall’altro viene erogata sempre falsamente in relazione e in proporzione all’obolo incassato; se, infine, il malcapitato non ha nessuno e non ha denaro, diventa solo un numero.
L’uomo, talvolta o spesso, si pente di essere nato e si sente colpevole di vivere, perché la società lo emargina e talvolta lo esclude, in quanto non ha e per questo motivo non è.
Insomma questa è la dura realtà, che tutti conosciamo per averla vissuto, purtroppo, in maniera epidermica più o meno.
Quindi sappiamo quali sono le disoneste procedure, cui ci si sottomette spesse volte per ricevere un servizio umano, che dovrebbe essere erogato a qualsiasi uomo, vivente sulla terra, non solo per diritto, ma soprattutto per dovere, senza ferire la sua dignità, specialmente in quei momenti, in cui è più debole, perché malato.
E’ indegno quello che avviene e cui assiste l’uomo, inerte spettatore, che a forza subisce e sommessamente tace.
Gli uomini vengono sulla terra non per loro gradimento, ma perché qualcuno, magari spesso senza amore li mette al mondo; pertanto, non hanno nessuna colpa di esistere.
Anzi coloro che già sono sulla terra e sanno già cos’è la sofferenza non dovrebbero fare altro che accoglierli e fare in modo che gli stessi si possano sentire durante la loro vita vicendevolmente ospiti l’uno dell’altro.
Se così non sarà, il contrario del mio ragionamento, che purtroppo viviamo quotidianamente, produce e produrrà sempre gli effetti deleteri, di cui siamo dolosamente coscienti.
Mi dolgo che l’uomo Wojtyla soffra tanto e che nei momenti della sua agonia quindi riceva tutto il conforto e la solidarietà, di cui ha bisogno, ma non condivido le discriminazioni tra gli uomini, in quanto ogni uomo che su questa terra soffre deve ricevere, non mi stancherò di ripeterlo, tutte le umane attenzioni e le doverose cure, così come vengono erogate all’uomo-papa, all’uomo-presidente, all’uomo che detiene il sudicio potere.
Tutti sanno e quindi taccio sul chiasso che si è fatto alla morte dell’uomo-papa, preferisco non ampliare oltre l’argomento. Quante speculazioni sul morto! Quante parole, che restano tali! Quante false e teatrali celebrazioni.
Non abbiate paura! Fratelli, cui do voce, toglietevi una buona volta il bavaglio! Ribellatevi e debellate i fautori di questo malcostume!
L’uomo è grande di per sé ed ha dignità solo perché uomo e come tale dev’essere rispettato ed amato dal suo simile; chi in qualsiasi modo e con qualunque mezzo lo rende servo e sottomesso al proprio volere dev’essere curato, perché di malato di mente si tratta.
L’uomo, purtroppo, nei momenti di debolezza, per via del bisogno, indifeso, ritorna bambino, perché bambino rimane; da piccolo chiama la madre e da adulto invoca e volge gli occhi al cielo, ma il cielo appartiene alle eminenze, ai monsignori ed ai loro addentellati e per ricevere grazie, le stesse devono essere pagate lautamente dai deboli ai predetti mediatori del Dio o degli Dei che stanno in terra, insomma ai vari feticci della chiesa cattolica, della politica e della delinquenza.
Ma se rimarrà bambino, l’uomo, e vorrà continuare ad esserlo, la sua sorte è segnata, sarà un eterno schiavo, mentre altri vivranno da forti sulla sua debolezza e da ricchi sulla sua miseria.
Sarebbe meraviglioso, se l’uomo restasse bambino, visto quello che succede quando presume di fare l’adulto.
Ma io stesso che ho espresso il mio pensiero sono il primo a sollevare le mani e gli occhi al cielo, poiché, debole ed indifeso come tanti, ho talmente radicato nel mio DNA il gene che ha nome Dio, da non potermene liberare e penso che non ci riuscirebbe neanche il migliore esorcista a debellarlo.
Dio, un piccolo nome, ma d’immensa illusione, un grande fantasma, di cui non si potrà fare a meno, finché l’uomo non rispetterà ed amerà il suo prossimo come fece Gesù.
Uomini di chiesa, in nome di Gesù vi prego di vestire un solo abito, bruciate tutti gli altri, onorate l’abito talare, dedicandovi solo alle missioni, come gli apostoli, ed a non altro che vi allontani e vi distragga dallo scopo principe, cui vi sentite chiamati e cui per vostra scelta e predisposizione dell’anima vi siete votati.
Allontanatevi dalla politica, dagli sfarzi, dai commerci; amate solo Dio e con le opere esemplari, come fanno pochi tra voi, siate forieri di amore e di pace tra gli uomini.
Lasciate aperte tutte le chiese, perché i fedeli possano entrarvi in qualsiasi ora del giorno e della notte per il loro spontaneo raccoglimento.
Aborrite tutti gli ori e gli argenti e tutti gli effimeri tesori, di cui sono pregne le vostre sontuose chiese e le annesse sacrestie, a causa dei quali fate commercio a livello centrale e periferico.
Bruciate gli sfarzosi paramenti, che, tra l’altro, vi fanno sembrare dei manichini, che stanno per rappresentare in maniera ridicola scene teatrali di bassa interpretazione.
Preti, suore ed addentellati, è chiaro che mi riferisco a tutti dal papa ai sacrestani, voi, se vocati all’ordine per vostra libera scelta, dovreste essere ritualmente castrati, onde evitare gli scandali, cui assistiamo, pedofilia, congiunzioni sessuali con suore etc…, dovreste sentire la castrazione come voto per una totale dedizione a Dio. Certamente la chiesa perderebbe molti proseliti, forse il 90%, ma la restante parte sarebbe sicuramente sana. Voi, che, si presume, ne abbiate più titolo e, soprattutto, predisposizione dell’animo, dovreste accudire proprio voi in tutti gli ospedali gli ammalati; per questo nobile servizio siete i più idonei come barellieri, inservienti, infermieri, medici, insomma come personale paramedico e medico. Lo stesso dovreste fare nelle carceri: dovreste affiancare in maggior numero le guardie carcerarie e sulle strade cittadine, nei diversi quartieri, dovreste vigilare le anime ed intervenire in pronto soccorso, se vi è bisogno, così come i poliziotti vigilano per la sicurezza dei cittadini ed al bisogno poi intervengono. Insomma uscite fuori dai vostri covi e proiettatevi con amore a rendere più cristiana la società.
Non fate più commercio d’icone, di corone e di quant’altro, non fate speculazione disonesta sull’uomo dalla nascita alla sua morte, come fate adesso con le varie tangenti applicate sui battesimi, cresime, matrimoni, funerali, messe semplici e cantate per vivi e per morti (chissà quale differenza c’è tra semplice e cantata?), sacre ruote.
Insomma, che finiscano tutti i privilegi e le immondezze da voi inventati per estorcere denaro, perché d’estorsione si tratta ed anche di evasione fiscale; reati che dovrebbero essere perseguiti d’ufficio e condannati dalla magistratura. I maghi vengono perseguiti, ma gli amministratori della chiesa no; anzi agli stessi, dulcis in fundo, oltre agli altri privilegi è concesso per legge di ricevere un piccolo regalo annuale: il cosiddetto “otto per mille”, al quale, per la sua destinazione da parte di chi presenta la dichiarazione annuale dei redditi, viene fatta martellante pubblicità alla televisione come ad un detersivo, all’acqua minerale o a quant’ altro: la religione è diventata un business per la chiesa cattolica.
Quanto detto sopra per codesti amministratori, in relazione alla solidarietà ospedaliera, carceraria et cetera, certamente è implicito che vale per tutti gli altri amministratori di tutte le istituzioni pubbliche e private, nonché per tutti i cittadini, che intelligentemente dovranno adoperarsi alla buona riuscita di questo magnifico progetto, cui sto facendo cenno, con tanta solidarietà religiosa con i novelli sacerdoti, non più elettori di feticci per loro scelta umana e cristiana, ma apostoli e missionari senza frontiere.
Non se ne può più. Aborriamo la guerra tra gli uomini e seguiamo i sentieri della pace. Vogliamoci bene, non ci costa niente, anzi assaporeremo la vita e sentiremo il suo buon gusto dall’alba al tramonto.
Homo homini deus et toto pectore amare e non più homo homini lupus, questo dovrebbe essere il motto che dovrebbe guidare gli uomini, poiché sappiamo tutti quanti gravi conflitti ed orrendi, deleteri atti terroristici, come ci tramanda la storia, produce l’applicazione della dannosa frase di Plauto, sopra riportata.
L’indignazione, talvolta, mi spinge a ripetere cose che tutti sanno, soprattutto moltissimi intellettuali che conoscono profondamente i fatti storici a menadito; ma anche senza essere un intellettuale, quindi un normale cittadino come me, ci si accorge dell’amara realtà e non si può continuare a vegetare passivamente, si sente proprio il bisogno umano di spronarsi e spronare i propri simili a cambiare rotta nella direzione sopra descritta per il bene personale e di tutta la collettività.
Qualcuno, con cui ho dialogato, magari in maniera sommaria, su questi argomenti, mi ha risposto che sarebbe giusto che le cose cambiassero ed anche gli uomini, ma aggiungeva anche che sarebbe stato meglio se ognuno di noi, senza affannarsi tanto a pensare a trasformare gli altri, migliorasse se stesso.
Ma io ritengo che le mie sollecitazioni a chi certamente non è sordo naturalmente, ma ha solo gli orecchi otturati e non la mente, possano suonare echi armoniosi per poter distrarre la sua attenzione nella giusta direzione.
Adesso, però, vorrei ritornare a ricordarmi dei miei anni infantili, perché alla mia età è piacevole qualche volta ricordarsi del tempo passato; sembra quasi di avere qualche anno in meno e, se si va un po’ sovrappensiero, proiettandosi nella realtà di allora con la fantasia, si riesce a rivivere quella stessa età, in cui avvennero quei remoti fatti.
Ritorna di nuovo alla mia memoria quella casa di campagna, ma soprattutto la vegetazione di allora di quel sito e la vista panoramica. Si andava lì di solito nei mesi estivi e durante tutto quel periodo mio padre, mia madre ed io ci alzavamo all’alba ed al suo chiarore, seduto a terra o appoggiato al tronco del carrubo, io aspettavo, aspettavo per mirare l’aurora, che mi offriva i primi raggi del sole, che risvegliano dolcemente la natura.
Era bello stare immerso nella natura; mio padre e mia madre m’insegnavano sempre più ad amarla, standole spesso vicino, passeggiando e mirando, ascoltando i suoni e i silenzi magari seduti su un greppo.
Quante volte, appoggiata la mia testa sulle ginocchia di mia madre, seduta su un muretto antistante la casa, in silenzio ascoltavo dei grilli i loro striduli suoni, il garrire delle rondini, il chiù dell’assiuolo. “La natura - mi diceva mia madre - è anch’essa una dolcissima madre, che comprende i bisogni dei suoi figli ed a loro si dona, sempre incline a concedere i frutti e l’oblio necessario alla vita”.
Sin da piccolo io ero vicino alla natura, che spesso suscitava in me sensazioni infinite ed indefinite: suoni, richiami, ricordi; i miei compagni durante la mia permanenza in campagna erano sempre gli uccelli, le piante, i fiori, gli insetti etc…
I palpiti della natura li sentivo dentro di me e volentieri mi abbandonavo ad essa in contemplazione, confondendomi nel verde e respirando l’aria balsamica che oggi non è conosciuta ai più; godere del suo contatto, della sua pace e dei suoi paesaggi campestri significava vivere ed ammirare i quadri più belli in un loro continuo rinnovarsi. Quanti aspetti lieti o melanconici si colgono nella natura immersa nel silenzio arcano, rotto soltanto da qualche isolato rumore.
Incantato, io ti ho cantato, natura, alla luce del sole ed a quella delle candele; tu mi hai ispirato sentimenti ed hai prolungato nel mio animo le sensazioni più forti, che poi sono sfumate in un alone di spiritualità indeterminata.
L’aria fresca e pura del mattino, passeggiando con mia madre, ossigenava la mia mente e, aspirandola, sentivo che si espandeva nel mio petto, dando vita al mio spirito ed al mio corpo. Nell’ora lunare scendeva balsamico il silenzio ed i pensieri sfumavano nell'oblio del sonno. Era bello vivere, ero felice e tra gli alberi correvo spensierato, rincorrendo farfalle, grilli, lucertole ed uccelli; mi arrampicavo sugli alberi e, gridando la mia gioia al silenzio, rotto soltanto da quegli esseri armoniosi che io prima mentovai, assaporavo la vita e ritornavo, poi, nella mia vecchia casa di paese, ritemprato.
Questo rimpianto della vita in campagna, da dove a forza le migliori e giovani braccia si allontanarono per cercare altrove il sudato pane, c’è ancora e soprattutto oggi.
La vita per me era luce e speranza. Non mi mancava niente, ma non avevo niente. La mia infanzia come quella di tanti ragazzi non fu da me vissuta negli agi, ma anche la mia giovinezza e la mia maturità ebbero la stessa sorte. I miei giocattoli me li costruivo con materiali di risulta: cerchi di biciclette, pezzi di stoffa, scatole di cartone, stecche di parapioggia e tanti altri materiali che è inutile elencare; da questi prendevano forma palle da gioco, carri, case, archi etc. Ero contento ed anche soddisfatto di costruire i miei giocattoli, anzi i nostri giocattoli, poiché a quel lavoro partecipavano con tanta inventiva e perizia molti miei compagni di strada.
La strada ci vedeva crescere e ci forgiava alla vita. Si giocava quindi sulla strada o meglio sulle strade, dove s’impara a vivere, a socializzare, a costruire, ad inventare, ad immunizzarsi, a soffrire, a gioire, a conoscere la generosità, l’amore, la cattiveria, l’odio e tutto ciò che di positivo e di negativo offre all’uomo il quotidiano vivere. La strada è, come ho già detto, l’officina dove gli uomini plasmano le loro menti e il loro corpo. Gli sforzi per superare le difficoltà della vita e le sofferenze temprano la mente dell’adolescente, che divenuto uomo, poi non sarà mai nel bene o nel male “ una canna che si piega al primo soffio di vento ”.
La sofferenza certamente sulla terra regna sovrana dall’alba al tramonto della vita, ma l’uomo, che la conosce sin dai suoi albori, poco dopo la sua nascita, avendola incontrata più volte ovunque, credo che potrà sicuramente fregiarsi del predetto appellativo e sentirsi veramente uomo solo se accetterà la sofferenza medesima come ingrediente del suo quotidiano vivere e dominerà la stessa, traendo il bene e il bello che essa produce all’animo umano.
Bisogna guardare all’orizzonte, i monti e le valli non dovranno mai ostruire il nostro occhio, ma intrepidi bisogna valicare gli stessi, che s’interpongono tra la nostra mente e l’orizzonte. I monti e le valli, che non sono altro che i falsi piaceri, le menzogne, le cattive persone, i facili guadagni, le illusioni, le mollezze, le compagnie di falsi amici.
Durante questo viaggio forzato sulla strada ho incontrato, ho conosciuto e quindi ho abbandonato le predette zavorre, inutili pesi, che fanno arrancare e talvolta fanno segnare il passo, impedendoci spesso di arrivare in tempi brevi all’orizzonte del bene o di farci perdere completamente durante il cammino.
Certamente il cammino è lungo ed impervio, s’incontrano tempeste e tenebre; all’orizzonte, però, svaniscono le stesse per lasciare poi libero il passo alla luce, che lo spirito risveglia.
All’orizzonte l’incubo s’annienta ed io sono rinato più temprato e pronto a rivivere e a donarmi per il bene della collettività, credendo nell’amore e nella libertà, che sono i motori che sollecitano alla solidarietà umana ed alla naturale conservazione di tutte le specie esistenti sulla terra.
Niente di nuovo, perché tutti sappiamo che è così per aver letto tanto e dialogato a lungo su questi argomenti, su cui di solito siamo d’accordo solo quando si disserta sugli stessi; ma se ci sarà un eventuale lettore di questo mio modestissimo scritto, spero che per lo stesso queste mie parole possano avere l’effetto martellante della buona pubblicità e si renda conto che è tempo di mettere in pratica per il bene comune ciò che è oggetto di mera dissertazione.
La strada m’insegnò ad amare e ad odiare. Io, crescendo, scelsi l’amore e con esso la libertà. Amore, significa rinunziare al benessere personale, sublimarsi attraverso di esso.
L’amore ha le più spiccate risorse per guarire qualsiasi ferita e, quando s’impossessa del cuore dell’uomo, lo trasforma e gli dà una forza che lo rende invincibile a qualsiasi attacco.
L’amore nutre l’uomo e lo nobilita, è la vera ragione del nostro quotidiano vivere e del nostro sereno morire.
Queste parole, mentre scrivo, mi fanno ricordare i miei primi elementari, ma vitali educatori: mio padre e mia madre, scomparsa da poco, il 13 dicembre 2004, la quale qualche giorno prima di morire, conversando con me su diversi argomenti, infatti, fece riferimento ai predetti valori, ai quali ho testé accennato. Ella fu per mio padre la sua collaboratrice ed il suo appoggio, sempre al suo fianco nelle poche gioie e nei tanti dolori. Io non vi dimenticherò, finché vivrò, o miei amati maestri! Ho legato i vostri due cognomi per onorarvi anche così. Dall’età della ragione ho sempre creduto nella parità tra uomo e donna e nel loro reciproco rispetto tanto, da capire che é giusta cosa che il cognome della donna-madre non rimanga ignoto dopo il suo matrimonio; anzi, sia di prestigio ai figli potersene fregiare. Non mi soffermo su questo argomento, poiché, a prescindere dal pensiero di qualche imbecille, è lapalissiano quanto ho già testé scritto. Quindi pari diritti, pari doveri e pari dignità in tutte le direzioni e in tutte le espressioni del quotidiano vivere. Le leggi dello Stato possono sancire tanti comportamenti, ma sono delle imposizioni; quindi, se non ci sarà coscienza, l’annosa lacuna nei confronti della donna non sarà mai colmata e l’uomo sarà monco.
Dianzi accennavo alla libertà, che non è libertinaggio, ma la spinta più forte che sollecita l’uomo ad agire con consapevolezza sempre per il bene del prossimo.
L’uomo, infatti, perché possa compiere le sue buone azioni ha bisogno di sentirsi libero di agire e di adoperarsi senza nessuna costrizione, in quanto è di sua natura aspirare alla libertà.
Io sentii forte questo bisogno nella mia adolescenza, che più intenso divenne poi in tutte le prossime fasi evolutive della mia vita. Così vissi non da liberto, ma da uomo libero.
Tutti gli esseri della terra vorrebbero vivere in libertà la propria vita, ma soprattutto l’essere umano sente questo bisogno innato di vivere liberamente, soffrendo o gioiendo; però, è giusto che l’uomo, agendo sempre per il bene collettivo, non rifiuti l’esperienza altrui o il buon consiglio.
La libertà, infatti, come ho già detto, non è libertinaggio, ma giusto discernimento dei fatti, dei sentimenti, premio e castigo, equilibrio della mente nei confronti di tutto.
L’uomo libero non vive con ipocrisia, nella menzogna, anzi è sempre alla ricerca della verità, che rende sempre luminoso il suo sentiero, come individuo, come persona e come membro della società mondiale.
Io ho sempre amato la verità, mi sono sentito più forte nel ricercarla e nel diffonderla unitamente agli ideali di libertà, che danno coraggio di lottare contro il male e riescono sempre a ristabilire in noi l’equilibrio, che talvolta si perde a causa delle pressioni esterne o degli istinti.
Io ho avuto dell’amore, della libertà e della verità una grande attrazione. So anche che la gioia si conquista giorno per giorno col sacrificio e col sapersi accontentare e che rispondere al male con il bene è la più grande “vendetta” e il più alto riconoscimento che l’uomo può elargire a sé stesso, facendo un sommo bene alla collettività.
Qualcuno però potrebbe dire che non è bene dire tutto ciò che si sente nella propria mente, anche se fosse bene tutto quello che si sente, in quanto è bene anche frenarsi nel dire liberamente ciò che si sente, soprattutto quando non si vive liberamente. Simulare e dissimulare è oggi condizione del cosiddetto vivere civile e poiché alla natura umana non è data la possibilità di vivere nella luce della verità, chi vuol vivere da uomo libero è ritenuto un Don Chisciotte, che non conoscendo la dissimulazione e volendo vivere nella verità, è un visionario, un pazzo.
La simulazione e la dissimulazione qualcuno dice che è un’arte, un’arte indispensabile per l’uomo ed anche legge di vita perché non viva la stessa in maniera miseranda, scegliendo un inutile sacrificio, vista la brevità della vita.
Io credo però che chi vive nella verità o alla ricerca della stessa assolve al compito umano pienamente, chi vive con ipocrisia e nell’ipocrisia vive in uno stato di difesa e di offesa; poi quali sono i confini che dividono la difesa dall’offesa? Non si conoscono mai, perché non è possibile stabilirli e pertanto dilagano i conflitti a qualsiasi livello, che distruggono la serenità del quotidiano vivere umano.
L’uomo non può vivere oggi come viveva nei tempi remoti o come vivono gli animali della foresta, sempre attenti a difendersi, perché c’è sempre in agguato un altro animale che li sovrasterà prima o poi per la sua stessa sopravvivenza. Ma tutti sappiamo che gli animali prendono quanto basta e non di più ed aggrediscono solo per i suddetti motivi.
L’uomo non può stare sempre attento in uno stato di continua difesa, non può stare sempre attento a scoprire il suo simile se quando parla, quando si atteggia, quando agisce è alla ricerca della verità per il bene comune o simula.
Uno scrittore, di cui non ricordo il nome, scrisse: “Tra le cime dei monti c’è tanta distanza, ma tutti poggiano sulla stessa terra. Gli uomini sono distanti tra loro, come le cime dei monti, ma non dovrebbero mai dimenticare di stare vicino, tanto vicino tra loro, poiché poggiano sulla stessa terra, su cui si ergono”.
Un giorno, dialogando con un uomo “politico”, a cui avevo fatto omaggio di un mio libro di poesie, lo stesso mi disse, dopo averlo letto, che condivideva il mio pensiero, ma aggiungeva anche che “carmina non dant panem” e chi scrive versi perde il suo tempo, in quanto per contribuire al progresso di una società ci vogliono programmi, idee concrete e non sogni.
Siate voi, lettori, a dare la risposta. Io dico soltanto che l’uomo cesserà di esistere come tale dal giorno in cui non leggerà più una poesia o non sentirà più il bisogno di scrivere qualche verso dettato dal cuore per descrivere un’emozione di gioia o di dolore. Per poesia intendo il termine greco “poieo”, che significa creo, creazione in senso lato: musica, pittura, scultura etc.
Noi, dominati dal vuoto spirituale, avendo eclissato molti valori stiamo creando il presupposto per annientare l’uomo, cioè la sua humanitas, che è proprio la morte del silenzio, cibo di cui si nutre la poesia. Oggi le masse senza cervello si entusiasmano e delirano per calciatori o per cantanti e questa è una realtà squallida e demenziale; è così, perché manca un’educazione all’ascolto della voce interiore dello spirito.
Oggi, più che in altri tempi avremmo bisogno di mettere in pratica il detto “in te ipsum redi”, per poter vivere nel rispetto dei valori, di cui il più importante è la pace tra gli uomini.
Si sono costituiti e si costituiscono tanti Ministeri, talvolta o spesso inutili, in tutti gli Stati, cosiddetti civili ed avanzati, ma i politicanti, operanti negli stessi, non hanno mai pensato dolosamente alla costituzione perpetua del Dicastero della Pace, come organismo di tutela preventiva e permanente della stessa.
Il Ministero della Pace dovrebbe sovrastare tutti i Ministeri, che allo stesso dovrebbero far capo e riferire prima di procedere su qualsiasi cosa, che verrebbe disapprovata, se fosse più o meno in contrasto con i principi di amore e di pacifica convivenza della collettività mondiale o che potesse minimamente sconvolgere l’equilibrio della terra.
Le istituzioni devono cambiare rotta e coloro che le gestiscono devono prendere coscienza e far prendere coscienza con tutti i mezzi, che sono tanti oggi quelli di cui disponiamo.
Agire quotidianamente senza frodare il proprio simile produce ricchezza a tutti gli uomini della terra, nonché all’ambiente in cui viviamo.
E’ inutile cercare fuori, cercare altri pianeti, se ancora non conosciamo il nostro e non amiamo quelli che ci stanno intorno.
Come possiamo amare o aiutare la sorte di altre popolazioni meno fortunate di noi che abitano altri luoghi, ma sul nostro stesso pianeta, se neghiamo il saluto al nostro vicino? Come possiamo vivere in pace, se costruiamo la stessa non sull’amore, ma sul timore? L’equilibrio del terrore non potrà mai essere approvato in una società umana.
E’ tempo che i cosiddetti potenti della terra si rendano conto, prima che sia troppo tardi, che di questo passo porteranno i popoli in continuo conflitto tra loro ad un definitivo eccidio cosmico.
E’ tempo di prevenire questo male, di cui conosciamo la causa, perché quando si userà il bisturi per estirparlo, lo stesso avrà ramificato nel corpo e nell’anima troppe metastasi.
E’ tempo di abbandonare, mi riferisco a coloro che detengono il potere a qualsiasi livello nei vari settori di tutte le istituzioni pubbliche e private, il falso concetto, dietro al quale ci si maschera, che è il popolo che fa l’uomo politico; infatti, il politico, se onesto, non scende a patti con chi attenta al benessere della collettività, ma fa in modo nella stesura delle leggi e nel suo quotidiano agire di non perdere mai di vista il compito che il popolo gli ha affidato e cioè la gestione della vita umana in tutte le sue sfaccettature.
Quindi, non assolvendo a tale compito, ma anzi provocando dolosamente gravi danni alla collettività, dovrebbe essere per le sue devianze mentali curato e rieducato poi al vivere sociale, perché di malato di mente si tratta e non d’altro.
Chi non aiuta, infatti, il proprio simile o non lo compensa, se non è all’altezza di certe situazioni, senza farlo sentire minimamente inferiore, attenta alla vita dello stesso.
Altri malati di mente sono i cosiddetti sedicenti nobili titolati e non: re, principi, duchi, conti, marchesi, baroni, cavalieri, papi, cardinali, vescovi, monsignori, presidenti, eccellenze, eminenze ed altre lordure inventate in altri tempi, oggi anacronistiche, dai nostri antenati pecorai e contadini, che asservirono allora i loro simili più deboli e cominciarono ad inventarsi i vari titoli, di cui per diversi secoli si sono fregiati ed oggi si fregiano con tutti i relativi privilegi a discapito dei sudditi.
Ecco, questi uomini sono altri malati di mente, come ho detto, che potrebbero essere curati, pagando con le loro stesse ricchezze, accumulate e distorte ai loro sudditi con varie magagne, il personale addetto a tale scopo, non gravando così sul bilancio della collettività; così come avviene per le ricchezze accumulate illegittimamente da altri malati di mente, che chiamiamo “mafiosi”. Questo sarebbe un grande esempio di giustizia sociale, che avrebbe una lunga risonanza, facendo sentire tutti gli uomini uguali durante la vita, così come avviene alla loro morte.
Nessuno dovrebbe essere proprietario di terreni, di case, di gioielli e quant’altro, ma solo gestore, ripeto gestore, che con il buon senso del padre di famiglia dovrebbe gestire non più di quanto gli è necessario per vivere dignitosamente, sic utere suo ut alienum non laedas, cioè usare ciò che gestisce in modo tale da non danneggiare mai l’altro, e non per sopravvivere in maniera asservita e miserrima, con sottomissione e con paura.
Qualsiasi professione dovrebbe essere esercitata con dedizione, con passione e missione senza scopo di trarne maggior lucro, ma solo espletata esclusivamente per il bene collettivo.
Nobile è colui che con le azioni compiute a favore del suo simile migliora le condizioni di vita di tutti gli esseri esistenti sulla terra, avendo un solo scopo, quello di vivere e far vivere bene durante la sua breve esistenza i coevi e in prospettiva le generazioni future.
Prendete coscienza voi che vi dite nobili, eccellenze, eminenze, dottori; solo così da malati di mente, riacquisterete la salute e tutta la collettività da questa azione ne trarrà esempio e nel prossimo avrà sempre più fiducia.
Nessuno dovrebbe mai sentirsi migliore o superiore all’altro, perché tutti abbiamo gli stessi bisogni, le stesse necessità: convivere vuol dire condividere il tutto, dialogare in maniera costruttiva, operare tutti insieme, aiutarsi reciprocamente e quant’altro di bello e di buono, perché la collettività ne tragga beneficio, mentre sopraffare l’altro vuol dire sopravvivere con sofferenza e morire e far morire a poco a poco, senza mai poter gustare le gioie che la breve vita ci offre.
Si dice che i forti desideri, più puri e più veri, ai quali tanto si anela, si realizzino sempre. Io voglio a tal proposito testimoniare che questo è vero, perché mi viene confermato dalla mia esperienza: mio desiderio era di servire la gente più debole e tutte le mie attività nei diversi settori del lavoro mi hanno messo in contatto con gran parte di essa ed io spesso mi sono identificato con quella gente quasi sempre a me ignota, con cui ho dialogato in maniera solidale, dando e ricevendo reciproco benessere e gratitudine. Così ritornando a casa mi sentivo gratificato di aver dato pace, seppure momentanea ad un mio simile, che avevo cordialmente ascoltato.
La pace si costruisce così, con la vera fratellanza, con il sereno vivere, con la fiducia tra i popoli; solo così si potrà definitivamente porre fine a qualsiasi conflitto. La pace non può nascere da intese diplomatiche tra potenti, ma dallo scambio culturale tra gli uomini, che deve basarsi sulla verità, sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, superando le false ideologie, gli interessi personali e qualsiasi forma di egoismo.
E’ tempo non più di combattere, ma di costruire i presupposti di pace, eliminando gli squilibri economici e sociali esistenti sulla terra. E’ tempo di educarsi all’ordine, serva ordinem et ordo servabit te; l’ordine, infatti, aborre la violenza.
E’ tempo di educare alla pace con l’esempio e la primaria officina è proprio la famiglia e la scuola, se le stesse insegnano a vivere la libertà con la convinzione che ogni essere vivente è un tassello importante come tutti gli altri che compongono il cosmico mosaico.
E’ tempo che i re e le regine, i papi e le papesse abbandonino lo scanno, i pulpiti, le cattedre, gli sfarzi e seguano l’esempio di San Francesco d’Assisi. Ed aggiungo ancora che conviene agire in tale direzione, in quanto annienteremmo l’invidia, l’orgoglio, la superbia ed altri bassi sentimenti, che velano gli occhi e non fanno focalizzare all’orizzonte i sentimenti del bene: la fratellanza, l’uguaglianza, la libertà, che, come dicevo, sono i sentimenti di quello che io definisco “egoismo buono”, che sicuramente è quello che dà dignità all’uomo, in quanto essere razionale.
Politici o meglio politicanti, amministratori di Chiese, di Tribunali, di Scuole, di Ospedali, di Carceri, Scienziati, Istituzioni pubbliche e private, nonché altri addentellati a qualsiasi livello, applicate la vera democrazia, servite il popolo, dategli la migliore sedia e i migliori consigli, quando si presenta al vostro cospetto nei vari dislocati uffici, quando chiede notizie o quant’altro a voi impiegati, talvolta parassiti esuberanti ed impreparati.
Cambiate rotta, siate onesti e preparati a servire il vostro simile, che vi paga per rendergli utili servizi e non per poltrire nell’ignoranza, rubando il cosiddetto “27 ” ed altre indennità dirette a seconda del livello di appartenenza ed indirette a seconda dell’illecito camuffato.
Chi fa politica e poi è eletto ad amministrare la cosa pubblica dovrebbe percepire un giusto stipendio e, se già fruisce di una retribuzione, dovrebbe solo cambiare lavoro e scegliere uno dei due stipendi, versando l’altro in un fondo di garanzia per lavoratori disoccupati o in altri fondi di pubblico bene.
Ritengo anche che per il periodo, in cui svolge attività politica, lo stesso dovrebbe lasciare il lavoro, cui è adibito, e dedicarsi solo ed esclusivamente alla politica, percependo la stessa retribuzione mensile, già percepita.
Il cittadino eletto, se è disoccupato, dovrebbe percepire lo stipendio per il tempo in cui svolge il suo mandato politico e poi , terminato il mandato, se non più eletto, dovrebbe percepire l’indennità di disoccupazione dignitosa come un normale cittadino, che ritorna ad essere disoccupato.
Chi poi avesse redditi alti e proprietà immobiliari, sicuramente accumulati a danno del prossimo, dovrebbe restituire tutto all’erario in maniera di compensare coloro che non hanno. In questo modo, forse, non avremmo tanta povertà e ci sentiremmo politicamente in senso classico più vicini l’uno all’altro.
Tutto ciò che io in questo momento sto pensando e scrivo chiaramente dovrà essere oggetto di attento esame per trovare la giusta soluzione, sempre avendo riguardo alla collettività.
Giusto sarebbe, in ogni caso, che, a prescindere dall’attività svolta, a qualsiasi livello il lavoro fosse distribuito e retribuito in maniera paritaria per tutti i lavoratori, certamente avendo riguardo alla predisposizione ed alla preparazione di ognuno di noi, in maniera di poter rendere di più e far meglio ciò, di cui ci si occupa.
Tanti in questo momento sicuramente hanno avuto uno scatto e si sono alzati dalla loro sedia, leggendo queste parole, che per loro sono spine che pungono il sedere.
Vergognatevi di far sentire “nessuno” il popolo, d’imbrogliarlo, e a suo discapito arricchirvi.
Rivolgete l’orecchio nella giusta direzione e sentirete un suono armonico levarsi e non i quotidiani rumori dissonanti della guerra tra gli uomini, che tutti i mezzi di comunicazione ci propinano pur di dare notizie, non curandosi del grave danno che arrecano alle menti, soprattutto alle deboli menti.
Anche questi avvoltoi, però, da questo danno ne traggono profitto, mettendo in pratica un antico detto: “il fine giustifica i mezzi” e il “buono pasto”, io aggiungo, giustifica la notizia, anche falsa, (non già che il fine giustifichi i mezzi, come spesso balordamente ripetono cattivi e goffi studenti; la frase, infatti, non è del Machiavelli, ma fu coniata nel periodo della controriforma ed è proprio il contrario del suo pensiero che, purtroppo, corre sulla bocca di tanti. Sono i mezzi adeguati, infatti, che finiscono invece col giustificare i fini; soltanto la sapiente scelta dei mezzi può dare nobiltà all’azione che si compie. Questa è la giusta interpretazione del pensiero del Machiavelli).
Ritornando ai mezzi di comunicazione, si può affermare, infatti, con cognizione di causa che nessuno di questi è indipendente, libero di poter dire, ma al servizio esclusivo di partiti o di gruppi di pressione ed anche per quei pochi che volessero uscire dai binari esistono condizionamenti indiretti d’imposizione tali, da renderli, in qualche modo, dipendenti.
Una volta si diceva che la stampa fosse il quarto potere dello Stato, forse lo era, chissà, ma penso che da molti anni tutti i mezzi di comunicazione non lo siano più, in quanto non svolgono più la loro libera funzione d’informazione e di critica.
La libertà del dire viene repressa e difficilmente ciò che gli addetti ai lavori scrivono o dicono è vera espressione di ciò che sentono, ma, da asserviti, per il “buono pasto”, propinano “notizie” a fiumana e, noncuranti del danno arrecato alla collettività, danno “libero” sfogo alla libertà o meglio al libertinaggio di chi ha abbastanza denaro e potere per comprare la loro lingua e la loro penna, quindi il loro cervello. Ma ad un uomo, cui è asservito il cervello, cosa resta? Chi è? Non è forse uno schiavo?
La tratta, dunque, esiste ancora ed è reclutata con i sistemi nepotistici approvati dai politicanti o dai monsignori disonesti, che fanno proliferare sempre di più la sicura tratta, asservita da anni al loro volere, che avrà per sempre gli occhi al fatto, ma la mente criticamente rivolta, spesso a suo malgrado, solamente al bene del feticcio, da cui dipende. Ahimè, che amara realtà!
Durante la mia adolescenza, durante la giovinezza e poi durante la maturità anch’io, come tanti incontrai molte difficoltà, ma non mi sottomisi a nessuno, non fuggii in maniera codarda, anzi cercai di valicare il muro che ostacolava il mio passaggio e questo ho fatto spesso con maggior lena, perché questo m’insegnò la strada e l’esempio dei miei genitori che, pilastri del nucleo familiare, mi allevarono con amore, dandomi sempre col dialogo lezioni di vita.
Più volte mi sono sentito stanco e sconfitto, ma con coraggio ho ripreso più volte la mia lotta per non essere asservito, usando le sole armi, di cui dispongo: la parola e la penna, avendo orrore delle altre armi e della violenza. Io ho stima di quei giovani e poi di quegli uomini dignitosi che, non si arrendono di fronte alle avversità della vita, che non si sottomettono a nessuno, che non strisciano ai piedi dei propri simili divenuti “potenti”. Così agendo, si è d’esempio ai propri simili e l’amore, la libertà e la verità rimangono sempre i cardini del vivere da uomini liberi e non da schiavi. Vale la pena sacrificarsi e soffrire un po’ per mantenere vivi i valori, cui testé ho accennato. Credetemi!
Siate puliti dentro e fuori, siate forti e lottate, o uomini, contro tutte le negatività che vi circondano, opponendo alle stesse pensieri positivi, atti di bontà, di generosità, di coraggio, da cui trarrete nuovo slancio e darete sicuramente nuovo equilibrio all’anima, che sollecita la mente ed il corpo a vivere in simbiosi e in sintonia. Lo squilibrio, infatti, regna sovrano solo se in un corpo cresciuto alberga una mente debole ed un’anima infantile.
Si dice, infatti, mens sana in corpore sano, perché fra i due ci dev’essere, come ho già detto, simbiosi, sinergia, perfetta sintonia tra le loro attività; perché questo avvenga è necessario fare riferimento alle parole scritte sul tempio di Delfo: “conosci te stesso”; tale formula indica e l’interesse per l’uomo e il proposito di ricercare una dottrina-norma sull’uomo che valga per tutti. Grande adagio dell’antichità, che vale perché intimamente legato a conoscere gli altri; infatti, l’uomo solo non esiste.
L’uomo è soltanto apparenza, sono gli altri che gli daranno il suo volto, perché attraverso la conoscenza di sé e degli altri, in un rapporto continuo, egli può agire in maniera benefica sugli altri e per gli altri.
Conoscere se stessi, tra le altre interpretazioni, in senso lato, per chi sta bene, significa star meglio e per chi è malato essere per metà guarito.
La mente dà ordini al corpo e, talvolta o spesso, lo condiziona con le sue immaginazioni, spesso false, e con le sue emozioni. L’angoscia, gli scrupoli, le nevrosi sono atti della mente che prima influenzano il corpo e poi gli fanno rivivere fenomeni d’origine psichica in maniera negativa.
Adesso vorrei ricordarmi dei tempi della mia giovinezza, di quel tempo in cui crebbi e diventai adulto, raggiungendo la maggiore età, ventuno anni, cui tanto aspiravo, come molti giovani, che l’attendono con ansia. Chissà, perché; ma così è.
Questo periodo di grandi possibilità è però anche una fase della vita, come dice uno psicologo, durante la quale la maggior parte dei giovani deve pagare uno scotto per il privilegio di crescere. Questo è il periodo in cui si sentono forti contraddizioni; da un lato si desiderano fare grandi cose e dall’altro ci si sente insicuri. Si cerca di scoprire il mondo esterno nella sua realtà, di comunicare con gli altri, ma si soffre, purtroppo, contemporaneamente nella maniera più irrazionale di solitudine e di paure.
Un vecchio saggio mi disse: “ Diventare adulto, però, significa raggiungere l’equilibrio tra la mente ed il corpo. Diventare adulto è il sogno d’ogni adolescente, che attende con impazienza talvolta il momento della sua indipendenza, della sua autonomia e della gestione della sua totale libertà. Ma diventare adulto spesso significa raggiungere il libertinaggio, non la vera libertà, che è conoscenza di sé, saggezza, discernimento e non mistificazione dei propri sensi e dei sentimenti verso gli altri. Diventare adulto significa saper ragionare ed agire costruttivamente verso sé stessi e verso gli altri, di modo che le azioni compiute da noi possano migliorare noi stessi ed essere poi d’esempio ai nostri simili, che, se vogliono, possono imitarci. L’uomo, infatti, è il più grande imitatore e molte azioni le compie così, che magari, talvolta, sfociano in competizioni costruttive o distruttive; costruttivamente trova benessere, distruttivamente la competizione devìa in sopraffazione di sé stesso o degli altri. E’ necessario avere padronanza di sé in tutti gli atti quotidiani per vivere, come mangiare e bere nella giusta misura e quindi favorire la digestione; non avrebbe senso, infatti, compiere i predetti atti, ingoiando grandi quantità di qualsiasi cibo per distruggersi. Quanto già detto, vale anche per la mente; infatti, assumere moltissimi concetti, significa confondere la stessa, se non si dà ai concetti medesimi un giusto ordine, cancellando ciò che non è buono e conservando l’essenza dei migliori ”.
Incisi nella mia mente quanto il vecchio disse, ma la padronanza di sé chiaramente si acquisisce nel tempo e si consolida progressivamente, facendo così maturare il giovane e rendendolo sempre più equilibrato.
Divenni adulto, ma mi sentii anche sperduto, privo di appoggio spirituale-ideale; sorse così la coscienza del franare di ogni punto fermo, del perire di ogni speranza e di ogni illusione.
Diventare adulto fu anche insoddisfazione del presente e della realtà. Mi pervase un sentimento di sproporzione tra la realtà che mi circondava e l’ideale, mi avvolse una profonda tristezza, una tristezza romantica, un’inquietudine profonda, che però attraverso interiori tempeste, riuscii a superare e ad acquistare una nuova fede e viverla. Ma prima di superarla, mi sembrò essere una malattia, una brutta malattia e così, ancora poco temprato, io ero spadroneggiato da questa “malattia”, ero stato fatto schiavo del sentimento. Mi abbandonavo spesso agli eccessi della mia immaginazione e crollavo quindi inesorabilmente nello scontro con il reale con dolore e pianto.
Credo che anche spiriti forti in questa fase evolutiva della vita soffrano invero di più o di meno, ma se si è avuta una buona e forte educazione dalla famiglia e dalla strada, penso che ci si risani, come avvenne a me, e si possono poi anche trarre dei benefici ed acquisire delle capacità di più larga comprensione umana.
Questo è un momento delicato della vita, durante il quale per superare lo stato d’infelicità del presente e la cruda realtà che ci circonda, si cerca di evadere dalla stessa realtà con ogni sorta di fuga: nella natura, nell’amore, nell’arte, nello spazio, nel tempo etc.
Così facendo, con riferimento a ciò che avevo studiato, sentivo un ritorno nostalgico al passato, al mio passato, che mi sembrava bello nella lontananza, perché irrevocabile, ma anche speranza nel futuro; vagheggiavo lontani paesi, isole deserte. Immaginavo di vivere una vita misteriosa, piena di avventure, di fantasia. La mia fuga, però, si diresse soprattutto verso l’amore, a cercare l’amore come piena espressione della vita, della mia vita. I sensi si affinarono a mano a mano, fino alla sublimazione.
Adorai la donna come creatura umana, ma anche come un idolo, capace di emanare tanto fascino da dare colore e significato alla vita umana. Indi mi rivolsi all’arte per trarre dal mio intimo tutto ciò che sentivo, poiché ritengo che essa dia libertà assoluta: sollevandosi, infatti, sulla materia, avendola prima conosciuta, dischiude, poi, la mente dell’uomo all’espressione più alta dei sensi verso tutto ciò che lo circonda, senza limitazione alcuna di tempo e di spazio.
I tentativi di evadere, però, nonostante i miei sforzi, di uscire dal finito, dal reale si concludevano sempre in una sconfitta ed era sconfitta anche ciò che sembrava più certo: l’evasione attraverso l’arte; infatti, l’artista, sebbene sogni, è sempre legato alle cose ed il trionfo della fantasia è sempre adombrato dal disagio dell’attuale.
Nulla, purtroppo, è sufficiente ad appagare pienamente il desiderio di libertà assoluta, da cui sono stato sempre tormentato. Da ciò malinconia, dolore; l’insoddisfazione mi avvolgeva l’anima e spesso mi balenava in mente un’altra fuga, la fuga nella morte: speravo di trovare in essa la pace e il riposo ai miei affanni; ma talvolta la vedevo anche come ribellione contro il destino avverso o contro la società ostile, come affermazione di libertà spirituale o come sublimazione dell’amore o forse come principio della vita, lontano da tutti i limiti e da tutti i vincoli che incombono sulla natura umana.
Sognavo emozioni ed azioni, nonché modi di vivere diversi da quelli degli altri uomini comuni e propri della natura umana; intensamente sognavo, ma la realtà fatalmente era spesso diversa. Allora accusavo il destino e lo sfidavo sempre di più, quando ero più vicino alla mia sconfitta.
Ero pronto ad uccidermi, poiché vedevo nel suicidio non il più alto atto di viltà e di debolezza, ma la più strenua sfida contro il destino. Ma anche qui sentii che con la morte avrei annientato un corpo; infatti, sarebbe rimasto vivo solo un disvalore, un atto di mera viltà e di conclamata debolezza, che non dovrebbero mai identificarsi con la natura umana. Con quell’atto insano quali insegnamenti avrei tramandato?
La vita umana ha uno scopo ed è degna di essere vissuta. Chi dolosamente agisce per modificare il suo normale iter, sconvolge il sistema e tutta la collettività ne paga il fio.
Questa è la mia esperienza. In ogni caso con molte rinunzie, con tanti sacrifici, con intense introspezioni e continue ricerche, dopo tante incertezze e dopo dolorose ricadute questo travaglio mi ricompensò e, pur se fragile, ripresi lena, opponendomi con più vigore alle alterne vicende dell’umana sorte.
Così ritrovai finalmente la serenità perduta, a cui tanto anelavo, e quella certezza di sentirmi fratello degli altri uomini, con cui dialogare e costruire sempre meglio e nella giusta direzione la pace per la salvaguardia di tutti gli esseri della terra e dell’ambiente in cui vivono.
La pace, la tanto agognata pace, che tutti cercano, ma pochi, purtroppo, ne creano i presupposti perché la stessa regni sovrana sulla terra.
La pace costruita sul dialogo e sullo scambio continuo di atti di bontà e di solidarietà, costruita sulla forza di vincere i turbamenti, sulla padronanza di certe insicurezze, che danno vita alla pace interiore, che è l’espressione dell’equilibrio delle forze che presiedono allo svolgersi della vita quotidiana: il giorno e la notte, il sonno e la veglia, il lavoro e il riposo, la mente e il corpo.
Come si nota l’uomo si trova ad affrontare questa condizione dualistica e, se queste condizioni si alternano in maniera equilibrata, l’uomo vive, viceversa si ammala.
La mente e il corpo, come si è più volte ripetuto, devono vivere in accordo tra loro; nessuno dei due può essere l’una nemica dell’altro, devono per forza vivere in simbiosi per istinto di conservazione dell’umana specie; la mente, infatti, ha il compito di rendere vivo il corpo, inviando impulsi ai suoi organi. Così l’uomo è spinto a nutrirsi per vivere, ad usare gli organi sessuali per riprodursi e così via. La mente dà vita al corpo, senza di essa lo stesso sarebbe solamente un cadavere.
La mente è preposta, come si nota, alla crescita morale e spirituale dell’uomo, ma quando essa per qualsiasi devianza coltiva il proprio orgoglio, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, insomma tutti gli interessi personali e i bassi sentimenti essa fallisce il segno, l’obiettivo si svia e non assolve più al compito, cui è preposta. Vengono fuori così la desolazione e il turbamento, situazioni morbose, malumori, ingordigia, pigrizia et cetera e, finché la mente rimane attaccata ai suoi errori, i predetti malesseri non cessano e l’ansia del domani rovina l’oggi e il domani.
Credo che la mancanza d’equilibrio fra la mente ed il corpo provenga dall’ignoranza dei legami profondi che li uniscono. La mente ed il corpo non sono mai in conflitto tra loro, perché sono fatti per intendersi e completarsi. Il corpo e la mente sono due compagni che viaggiano insieme per tutta la vita ed insieme cercano la serenità e la pace, che se posta su basi materiali o desiderata al di fuori delle difficoltà della vita di ogni giorno, non è la vera pace, ma la fuga e quindi la guerra con sé stesso e con gli altri.
La salute è in stretto rapporto con la serenità dello spirito e la tranquillità del cuore. I conflitti segreti della personalità turbano profondamente le funzioni organiche e si sa che c’è un legame tra certi stati psichici e manifestazioni patologiche.
Per essere in pace l’uomo deve essere d’accordo con la natura, perché è proprio essa che produce ed elargisce gli elementi da cui egli stesso trae vita. Perché ciò avvenga, bisogna cancellare dalla mente in maniera critica tutti i falsi feticci, che i mezzi di comunicazione ci presentano, inculcando falsi sensi di colpa ed altri gravi danni a tutte le popolazioni della terra.
Qualsiasi senso di colpa compromette l’equilibrio psichico e semina disordine nell’anima e nel corpo. Le colpe sono morali; infatti, il corpo non può agire da solo, essendo strumento dell’anima.
L’anima dà gli ordini e il corpo li esegue, ma se gli ordini sono sbagliati la conseguenza materiale di questi comportamenti la degrada. Non vi è dunque colpa materiale, perché la materia non ha in sé alcun carattere morale.
La pace si acquisisce man mano che si allontana l’agitazione dei pensieri, il tumulto dei sentimenti, i capricci della volontà e l’orgoglio.
L’orgoglio è il padre di tutti i vizi; dove c’è orgoglio vi è posto per tutte le devianze che ne derivano. La scomparsa dell’orgoglio e dell’egoismo suo cliente è sufficiente per risanare l’atmosfera morale e per costruire i pilastri della pace, della pace duratura. La pace ha bisogno di controllo dei pensieri, di dominio dei sentimenti e di libertà di ciò che si vuole.
L’uomo equilibrato, la cui anima è gioiosa, la cui esistenza si svolge sanamente, che pensa agli altri più che a sé stesso e si rallegra della loro felicità, possiede la pace e la diffonde intorno a sé. La pace è uno stato di benessere mentale che, in simbiosi col normale funzionamento degli organi del corpo, produce un benessere generale.
Un medico mi disse una volta che la salute è la pace nel silenzio degli organi. La pace interiore si vive nel silenzio. Quando i nostri organi tacciono, il nostro corpo vive senza difficoltà. La pace è la salute dell’uomo e sta nella concordia con sé stessi e con gli altri.
L’uomo, che si smarrisce, che fugge, che cerca all’esterno, nei falsi idoli le ragioni del suo comportamento non troverà mai pace. Bisogna imparare a vivere secondo le regole della salute e le regole derivano dalla natura stessa del corpo.
Per vivere l’uomo necessita di molte cose e fra queste le più importanti, anzi le primarie sono il cibo, l’acqua, i vestiti ed una casa. Nutrirsi e coprirsi, vuol dire conservare la vita del corpo, captando gli elementi del mondo materiale, ivi compresa l’atmosfera dalla quale il nostro organismo trae sostanze indispensabili, che conferiscono all’individuo, attraverso processi di trasformazione chimica, benessere mentale e resistenza fisica.
Il nutrimento è necessario allo spirito e agli organi del corpo, che sono legati tra loro in perfetto ed ordinato funzionamento; la sua mancanza o il suo eccesso, infatti, provocano nell’organismo quei disordini, che sono le malattie, talvolta letali, alle quali non accenno, essendo le stesse oggi note a chiunque.
Vivere è un’arte e l’artista è l’uomo. L’uomo crea la sua vita, usando le parole, i colori, le linee e i toni a lui più confacenti per procurare a sé ed alla collettività gioie, sollecitando le illimitate ricchezze nascoste della sua anima per migliorarsi continuamente, per crescere spiritualmente e sviluppare il coraggio e la fiducia, qualità indispensabili che si sostengono reciprocamente, se si conduce una vita regolata. Solo così i dolori, le sofferenze, le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino non sono causa di disordine fisico, mentale e spirituale, ma anzi stimoli per l’anima in armonia con la vita.
Questo controllo richiede senza dubbio grande sforzo, ma ne vale la pena; infatti, svaniscono le paure e la fiaccola della pace brilla sul nostro volto.
Oltre al cibo, l’uomo deve lavorare e riposare, allo stato di veglia deve alternare lo stato di quiete. Ma in uno Stato senza diritto, anticostituzionale, senza quiete, fraudolento, che dà solo incertezze, come può l’uomo riposare e ritrovare sé stesso?
In che modo l’uomo può alternare allo stato di veglia lo stato di quiete, se è costretto a convivere con tante quotidiane preoccupazioni e col dubbio. Come possono i cittadini essere sollecitati all’humanitas, se l’esempio e il comportamento dei politicanti e dei governanti, fatta eccezione per una sparuta minoranza, è proprio in antitesi con i precetti di fratellanza: leggi, decreti, privilegi, immunità, impunità, tutto a discapito della sicurezza e dell’educazione dell’infanzia, del sereno vivere delle famiglie, della protezione degli anziani etc…
Il popolo, che dovrebbe essere sovrano, in fatto è asservito dai suoi deputati, che già solo per questo commettono un delitto contro la Costituzione e pertanto dovrebbero essere immediatamente incriminati. Ma non è così; infatti, il popolo rimane schiavo dei suoi deputati e solo se si prostituisce agli onorevoli feticci al massimo diviene liberto, come avveniva nell’antica Roma: quello schiavo, divenuto liberto, acquistava solo alcuni diritti, ma non tutti i diritti che avevano i liberi cittadini.
In che modo l’uomo può svolgere il suo lavoro serenamente e poi, soddisfatto, riposare, se mancano le condizioni?
I cittadini come possono cautelarsi col risparmio, sottratto a rinunzie d’ogni sorta, se in combutta si fa in modo di truffarli, eludendo la loro fiducia con false promesse ed occhiolini?
Se le autorità, preposte al controllo preventivo e successivo della gestione del denaro presso società, sono presenti solo per percepire gli emolumenti derivanti dalla loro carica ed assenti nel giusto espletamento delle loro funzioni, il cittadino onesto come può difendersi?
In che modo può difendersi l’umile ed onesto cittadino, se le predette società di comodo, che nascono come funghi, vivono e s’ingrassano al servizio dei delinquenti di qualsiasi livello amministrativo, politico ed ecclesiastico?
A chi può rivolgersi, se le onorate società hanno il monopolio dell’illecita gestione del privato e del pubblico denaro, che talvolta arriva sporco, perché distorto da uomini sporchi ad onesti cittadini lavoratori ed a poveri risparmiatori?
A chi può rivolgersi l’onesto lavoratore, se l’onorevole lordume, fatta salva una sparuta minoranza, in combutta poi si accorda e fa le leggi a suo piacimento e a discapito del popolo, godendo di assurdi ed iperbolici privilegi, indennità, pensioni d’oro in poco tempo ed altro, che non vale la pena elencare, perché tutti sanno? E chi non lo sa può erudirsi in merito, leggendo il settimanale l’Espresso del 1 dicembre 2006, che ha riportato l’elenco di tutti i privilegi.
A chi può rivolgersi, se sulla passerella delle comunicazioni la relazione audio-ottica che ne deriva è la sfilata delle false immagini dei feticci, dai linguaggi politichesi o altre porcherie di loro invenzione?
A chi può rivolgersi, se la strada del potere è tutta disseminata d’inganni e di dissimulazioni, di astuzie e di fraudolenti sottigliezze mentali? E’ indegno sapere che un tale chiamato Berlusconi, che ha rappresentato l’Italia come Presidente del Consiglio, per farsi imbottire la testa di peli è andato incoerentemente in Svizzera e per un intervento non difficile al cuore si sia fatto ricoverare in America, denigrando così la Sanità italiana.
Ma a chi giova tutto questo, se si guarda un po’ più lontano dal proprio naso?
A chi giova il motto divide et impera, se la morte ci segue a gran giornate, dando a tutti lo stesso sito e pure la medesima forma?
Scellerati, siete degli scellerati voi che la fate da padroni in una repubblica democratica, che ha la fortuna di conoscere, purtroppo, solo il significato del termine d’etimologia greca. Siete degli scellerati, di un’avidità insaziabile, che, compatti, bramate le stesse cose, odiate e temete le medesime cose, il che tra furfanti si chiama connivenza e che tra gli uomini probi si chiama amicizia.
Io non mi sono mai sentito a mio agio con gli uomini politici, anzi mi sono sempre estraniato per i motivi predetti, poiché non ho mai condiviso che la gestione della cosa pubblica si fondi sulla connivenza dei potenti, ma, com’è giusto, su un bene comune. A fondamento di una buona gestione devono essere posti valori come virtus e probitas, nonché uomini di specchiata onestà, di specchiata moralità deontologica, forze di coesione che abbiano rapporti di sincerità col popolo, che siano alieni dal vortice delle convenienze personali, dai compromessi, dai compari, dai ricatti, che siano semplici e schietti, esenti da doppiezze, simulazioni ed occhiolini. Questi sono i requisiti essenziali per rigenerare la nostra società.
Bisogna prendere coscienza che il conflitto di fazioni in lotta tra loro per il predominio, che le cricche contrapposte, che in maniera alternata governano, abusando delle cariche e favorendo i propri sostenitori, prima o poi sfociano in delinquenza sociale.
Uomini intelligenti voi sapete già che cos’è la politica, ma non volete applicare la giusta interpretazione, che è il naturale sentimento che unisce le anime degli uomini nobili ed onesti per gestire il popolo.
La politica è un sentimento forte che vincola gli uomini onesti in legami di sangue; la politica è condivisione di gioie e di affanni in una comune tensione verso il bene e il giusto; la politica è armonia e comunione d’intenti nel superiore interesse della collettività, del demos.
Gli elettori onesti vogliono che gli uomini politici onesti, cui accordano la loro fiducia, siano migliori di loro stessi, sia intellettualmente, che di capacità; vogliono che gli uomini politici, cui onestamente si appoggiano, restino sempre coerenti all’onesto mandato ricevuto.
Gli uomini politici dovrebbero essere dei buoni filosofi; infatti, cos’è la filosofia se non l’amore e la continua ricerca del vero, che, se non trova la sua applicazione nel giusto, non ottiene certamente lo scopo, che si è prefisso.
La politica, quindi, deve essere aliena dal calcolo o dalle necessità personali, non dev’essere connivenza o complicità nelle azioni disonorevoli. Il governo dello Stato comporta la stessa diligenza, lo stesso impegno di governare la piccola società, che si chiama famiglia; infatti, il buon padre di famiglia guida la stessa con amore ed è proprio l’amore che lo sprona a spendere tutte le sue forze onestamente per migliorare la sopravvivenza del suo nucleo familiare.
Non ricordo dove ho letto del grande filosofo greco, Socrate, una frase, con la quale rispose ironicamente al suo interlocutore, a proposito di un suo conoscente che era ritornato dopo tanto tempo da un lungo viaggio, che non lo aveva per nulla migliorato: “Sai perché è sempre lo stesso? Perché si è portato dietro sé stesso”. Ascoltate gli insegnamenti di chi ha tanto pensato per il bene comune, anche se poi, calunniato come corruttore dei giovani, come di solito succede, il suo premio fu la cicuta. Leggete di Socrate, maestro nel pensiero e nella parola, ribelle ma tranquillo, rinnovatore ma sereno, filosofo ma fanciullo nello spirito, insomma uomo di grande personalità morale, leggete anche una sola volta Fedone di Platone, ne trarrete beneficio, arricchirete il vostro spirito.
A che serve all’uomo il potere, la gloria e quant’altro di effimero, se gli stessi, come diceva uno scrittore, sono il sole dei morti: il sole acceca chi lo guarda e i morti non possono guardare il sole, quindi i predetti disvalori sono solo devianze, che, usandole o meglio abusandole a scopi personali o di partito, come abitualmente succede, portano alle discriminazioni ed ai perenni conflitti.
A proposito di conflitti sarebbe giusto che i capi delle varie Nazioni, esistenti sulla terra, per evitare stragi immense di cittadini, invece di assistere alla guerra in maniche di camicia o in altri modi e luoghi, combattessero l’uno di fronte all’altro con le armi a loro più idonee e chi poi restasse vivo avrebbe ragione sull’altro. Ma noi, che oggi riteniamo di essere civili, non violenti, come è giusto che sia, potremmo usare come armi gli scacchi. Che ve ne pare? Uomini d’ingegno, elaborate l’idea! Quanti affetti e quante cose non sarebbero distrutti? Quanti soldi sperperati per le guerre potrebbero sfamare, istruire, bonificare, insomma migliorare la sorte degli uomini e dei luoghi in tutte le parti della terra? L’odio non si vince con l’odio e più si accentrano le ricchezze, a discapito del popolo, più si accentra la noia, più si è soli e delusi. Non bisogna mai distrarre la mira dall’obiettivo che è la vita e non altro: se vogliamo vivere e non sopravvivere in conflitto, è sacrosanto che dobbiamo far vivere gli altri alla stessa maniera. Solo così potremmo godere in parte i giorni della nostra vita; in parte, poiché l’altra parte è governata già dalle malattie e dalle catastrofi naturali.
Un popolo progredisce e potrà dirsi civile quando compensa chi ha o è di meno. Noi, cosiddetti popoli progrediti, non siamo né civili, né umani, perché non ci adoperiamo nella direzione sopra descritta, in quanto invece di aiutare i popoli in difficoltà, andiamo a sperperare risorse economiche ingenti per stupide conquiste terrestri e spaziali, inquinando lo spazio e non garantendo attraverso studi e ricerche gli esseri viventi sulla terra da frane, terremoti e quant’altro, di cui siete a conoscenza.
Un popolo progredisce se usa le energie terrestri con parsimonia, cura l’ambiente e non altera la natura, se non ricorre alle armi per risolvere le controversie, se lavora la terra e trae i frutti senza inquinare il sottosuolo, se lavora nelle fabbriche e le stesse non avvelenano l’aria e le acque, se gli agglomerati urbani sono a misura d’uomo valido o invalido, se la burocrazia in applicazione delle leggi oneste risponde con dovuta preparazione alle domande ed ai bisogni della collettività, se i giovani a massa non si trasferiranno dal sud al nord, se non s’investiranno miliardi di euro per uno stadio, mentre si obbligano migliaia di lavoratori a mendicare una modesta abitazione per la quale devono pagare un esoso canone mensile, se la scuola non rilascerà diplomi e lauree a chiunque, a discapito dei migliori, avendo talvolta i peggiori a causa della raccomandazione le porte più aperte rispetto agli altri testé menzionati, se non ci sarà più nepotismo, se la sanità funzionerà con umanità e con preparazione, se la stampa darà notizie utili e costruttive in piena libertà, se i cittadini si sentiranno e vivranno veramente la libertà e la fratellanza. Credo che ciò possa bastare per avere un po’ di sicurezza ed un po’ di tranquillità.
Ma si può essere così ignoranti, imbecilli, disonesti o folli da non capire che se ognuno di noi gode del tutto un po’, quanto basta per il sereno vivere quotidiano, annienterà l’invidia, la delinquenza, il dissapore e quant’altro di nocivo esiste? Dicevo gode, per significare che l’uomo deve beneficiare gratuitamente, deve usufruire di ciò che gestisce con diligenza solo temporaneamente, perché di gestione si tratta, come ho spesso ripetuto. Nessuno possiede niente o peggio ancora è proprietario in perpetuo, essendo breve la vita ed incerto il domani.
La proprietà, infatti, è un’illusione molto negativa che comprime e distrugge la vita propria e della collettività.
Oggi si parla tanto di “globalizzazione”, ma bisogna creare i presupposti, che sono morali, umani. Nessuno dovrebbe essere proprietario, come ho già detto, ma solo gestire e percepire un salario, uguale per tutti a prescindere dal lavoro svolto, per il dignitoso vivere della famiglia; nessuno dovrebbe mettere soldi in banca, poiché proprio questo tipo di falsa ricchezza è la causa prima di discriminazione civile; non ci sarebbe più motivo di praticare questo falso discriminatorio risparmio, creando sicurezza nel quotidiano vivere dei cittadini del mondo, dando loro dignità morale e parità economica al lavoro sotto l’egida della giustizia distributiva.
Chiudete le banche, covi di strozzini autorizzati all’usura e a quant’altro d’illecito, al servizio dei potenti di tutte le caste mafiose, politiche e religiose, ed istituite sani enti di studio economico e politico formati da probi viri per lo sviluppo e il benessere mondiale, rendendo sempre più moderni i servizi utili a tutta la collettività.
Se gli uomini non inculcheranno nella loro mente la predetta coscienza sociale, penso che si può solamente affermare che in terra all’onesto cittadino non resta altro che subire, oltre che l’ingiuria, anche la beffa e nel continuo divenire dei tempi tra gli uomini ci sarà un’alternata metabolica vendetta tra il vinto ed il vincitore sempre alla riscossa.
Non si può amare i cani, i gatti, insomma gli animali, se non amiamo il vicino di casa, se non curiamo con amore e rispettiamo i nostri simili. Come si può pensare che ai nostri animali diamo cibi con vitamine, proteine, grassi, scegliendo così migliaia di quintali, anzi di tonnellate di scatolette più idonee al nostro animale e non pensiamo che in varie parti del mondo, quindi dei nostri vicini di casa soffrono e muoiono per mancanza di medici, di igiene, di acqua, di cibo e di tante altre cose, mentre noi portiamo dal veterinario anche per farli castrare, o per far togliere le unghie o per intervenire sulle corde vocali, perché non diano noie, il cane o il gatto o tanti altri animali, che potrebbero vivere liberi nel loro ambiente, come sarebbe giusto, ed autonomamente come fanno tutti gli animali nella foresta.
Sono un pazzo, se, riflettendo, noto e biasimo il comportamento umano, che da una parte è prodigo e dona a piene mani e dall’altra nega il tutto al suo simile? Niente da eccepire, anzi è encomiabile il comportamento dell’uomo verso gli animali quando li cura, ma lo stesso dovrebbe fare nei confronti del prossimo, suo simile; non certamente quando li sottomette ai suoi delittuosi bisogni.
Credo che chi si comporta così sia veramente affetto da debolezza mentale o d’incapacità logica, a causa delle quali succedono le disastrose vicende, cui poi col dito in bocca o a bocca aperta assistiamo, senza accorgerci che le mosche entrano ed escono dalla stessa. Poveri imbecilli!
Un attento lettore sicuramente dirà: “Che pazzo, questo inutile scrittore!”. Forse è vero, ma è l’unica strada da intraprendere, uomo assennato. Oggi sembra utopia ciò che penso, ma come sempre il senno del tempo tradurrà in realtà le odierne utopie. Solo che non si potrà attendere tanto.
L’uomo è meglio che prenda coscienza al più presto, si adoperi, perché ciò avvenga in tempi brevi e possa essere fiero di non avere causato ancora una volta catastrofi irreversibili sia ambientali che terroristiche. Si dice che è pazzo l’uomo che ha torto ed ha ragione chi invece esprime il pensiero della classe dominante.
Se non vuoi passare per pazzo domani, ascolta, uomo politico sapiente, il presunto pazzo di oggi.
Una volta ebbi la fortuna di dialogare con un saggio uomo politico sull’argomento testé descritto e lui così mi rispose: “ Sai, amico, la politica è una scienza, che durante la ricerca dovrebbe solo tendere a migliorare i rapporti tra gli uomini ed a salvaguardare l’ambiente, nonché le risorse, di cui si dispone, distribuendo il tutto a tutti, per evitare i dissapori e le discriminazioni tra i popoli, che aprono poi le vie al terrorismo; ma, purtroppo, chi detiene il potere esclude la ricerca e mira alla conquista. La politica, quindi, non è più una scienza, ma solo conquista del potere a discapito dell’umile, dell’ignorante, del debole; insomma, a discapito di tre quarti del popolo mondiale, che sopporta e si astiene: classico esempio di totale debolezza e classico esempio di morale da schiavi, rifiuto d’ogni scelta e d’ogni azione”.
Ma io ho fiducia e penso che i tempi e le menti siano maturi per svegliarci dal lungo letargo e finalmente prendere coscienza di tutto ciò che ha prodotto e produce effetti deleteri.
Il popolo, che sopporta e si astiene, è un corpo sociale malato e se non prende coscienza, attuando la massima “nosce te ipsum”, non guarirà mai e i politicanti, detentori del potere, faranno della sua malattia la propria salute.
Oltre al cibo, come ho detto sopra, l’uomo deve lavorare e riposare; allo stato di veglia, deve alternare lo stato di quiete.
Il sonno è una necessità primaria e insostituibile. Ma se si è travagliati da molteplici preoccupazioni, da tante agitazioni e da ogni sorta di sollecitazioni il sonno non è più sufficiente a ritemprare la mente e le membra; l’ansia e la depressione prendono il sopravvento, causando gravi danni a chi soffre ed a tutta la collettività, essendo queste patologie naturalmente di pregiudizio alla sicurezza, ma anche di dispendio.
Così ci si trova nei luoghi di lavoro stanchi, poco produttivi e poco vigili, predisposti all’infortunio e a quant’altro, perché il decadimento fisico e mentale non è sincrono col ritmo della vita, che più che far vivere porta inesorabilmente ad una continua e progressiva distruzione.
Anche i conflitti che insorgono a causa delle difficoltà e delle preoccupazioni, oltre che inasprire i rapporti tra gli uomini, si ripercuotono in maniera disastrosa sull’educazione; infatti, la vita di un uomo, dissestata, produce effetti non sani nelle sue molteplici manifestazioni affettive nei confronti degli altri, ma soprattutto nei confronti della sua famiglia; se poi ha anche dei figli, gli stessi subiranno l’influsso negativo sul modo di valutare e di vivere la loro vita affettiva e sentimentale.
Ma allora, se l’evidenza è questa e tutti, credo, ne siamo coscienti, qual è la società che noi vogliamo costruire? Tutti sappiamo che le difficoltà insolute fuori, ce le portiamo a casa ed anche quando cerchiamo di nascondere ai nostri figli i nostri contrasti, le nostre difficoltà, loro hanno capacità intuitive che, pur se piccoli, si accorgono delle tensioni affettive, più di quanto non pensino gli adulti.
Si può senza dubbio affermare che tutte le predette condizioni, aggiunte anche a quelle economiche, purtroppo, compromettono la serenità familiare e l’educazione dei figli, che divenuti adulti, pur di non vivere in quell’atmosfera di opprimente preoccupazione in cui crebbero, deviano nell’aggressione, quindi nella delinquenza in senso lato, o nell’autodistruzione, rifugiandosi nelle varie devianze, che conosciamo tutti, ma sulle quali, pur avendo tutti i mezzi per annientarle subito, stiamo a dialogare sul da farsi, mentre l’epidemia si diffonde incontrastata.
Ahimè!
La nostra civiltà c’inganna, perché ci fa credere che lo scopo principale per vivere sia quello di approvvigionarsi di denaro a qualsiasi costo e in qualunque modo, a discapito di chiunque, purché si soddisfino poi esclusivamente gli interessi personali. Allora tutto si fa in competizione, in lotta con gli altri ed, infine, la sopraffazione sovrasta i più deboli, che perdono, ma che si preparano di nuovo, come ho già detto, alla riscossa.
Così la nostra mente e il nostro organismo soffrono e, poiché sono spinti a funzionare oltre le loro normali possibilità, si esauriscono e vengono attaccati da malattie degenerative.
Questo stato di sofferenza si potrebbe evitare e si potrebbe conservare intatto il proprio equilibrio, se ci si fermasse, dando forza al corpo ed alla mente raccoglimento per recuperare ciò che pensiamo di avere perduto, di perdere o di non riuscire a possedere.
Mentre le membra sono nello stato di quiete, la mente si acquieta con la riflessione, si rasserena con i ricordi, con le immaginazioni, che danno alla stessa e di riflesso al corpo tanta nuova vitalità, una nuova concezione di relazionarsi col mondo e col vivere di ogni giorno.
L’equilibrio si raggiunge con l’introspezione e la volontà, nonché con la continua ricerca della verità.
L’uomo, così agendo, stigmatizzato il suo vecchio ed abominevole operato, ritrova sé stesso e con questo continuo esercizio sollecita il pensiero a rendere positivo ciò che negativo appare, fortifica la sua volontà ad agire ed affina la sensibilità ad operare per il bene, traendone così sempre vantaggi morali, che sono per sé medesimo immensa e duratura ricchezza.
Se quanto ho scritto non riuscirà a scuotere la mente del lettore, anche di un solo lettore, perché arrivi a capire che l’unico obiettivo per l’uomo è la vita, che ha bisogno di pace per essere vissuta e che la pace si costruisce con la verità ( il racconto del sacrificio di Gesù sulla croce è l’esempio supremo, sublime, perché Gesù è la verità ), con la compensazione tra gli uomini e con l’amicizia (tra tanti esempi mi sovviene Damone e Pizia) come valori ideali e con le quotidiane esigenze umane per indirizzare la mente verso i predetti valori, che sono una casa dignitosa per tutti, un dignitoso lavoro svolto con dedizione e con passione e non a scopo di lucro, un salario dignitoso unico per tutti per qualsiasi attività svolta, onde evitare le discriminazioni che creano le disparità di trattamento e l’iniquo arricchimento, un premio, consistente in un viaggio o altro, mai in denaro e simili, a chi si è distinto nella ricerca di meglio servire la collettività, vuol dire che il mio scritto ha fallito l’obiettivo.
Questo, infatti, è l’obiettivo che mi sono prefisso, scrivendo; ma se il mio sforzo nell’esprimere o nel rappresentare quanto penso dalla mia penna non fosse stato bene descritto ed il lettore non dovesse incontrare l’interesse che io volevo suscitare, il medesimo lettore, che certamente è acuto più di me, capirà che se anche il mio mezzo non funziona, chiaramente il grande fine che mi sono prefisso sostanzialmente non è sbagliato affatto. I miei tentativi, scrivendo e divagando, sono forse inadeguati, talvolta possono magari esasperare, rendere male la mia idea, ma il mio fine, ripeto, è uno solo: tendere al benessere del vivere sulla terra, amando il prossimo.
Solo chi nutre amore per il prossimo può dirsi uomo ed è degno di tale appellativo, se comprende profondamente il significato della vita ed il significato della verità e come tale poi, se vorrà, potrà anche interessarsi di politica in maniera umana e religiosa, applicando il detto religa et impera e non più divide et impera. Io, infatti, identifico i due termini politica e religione, sempre autonomi e dipendenti tra loro nell’espletamento del loro sublime compito.
So benissimo che il sentiero da percorrere per raggiungere i predetti umani obiettivi, cui anelo ed ai quali anelano tanti miei simili, è lungo ed impervio; ma se ognuno di noi si scrollerà dalla mente a poco a poco la zavorra che la ingombra e l’appesantisce e poi la inonda d’amore, credo che il mio pensiero, qui descritto, raggiungerà lo scopo ed io, che in vita non ho avuto lodi, premi, poteri, perché a questi non ho mai aspirato, avrò la desiata ricompensa, anche tra tanti secoli, di non esser vissuto invano o da ignavo, di essere stato presente ed attivo, sensibile ai bisogni altrui e di avere dato con orgoglio e senza bavaglio attraverso il mio scritto il mio piccolo contributo ai miei posteri, di aver sollecitato il mio simile a ricordarsi di non perdere mai la sua natura umana, quindi la sua humanitas, e di agire sempre onorando il suo appellativo.
Questo è il mio desiderio e, credo, di tutti gli uomini, che magari vorrebbero agire, parlare o gridare, ma, purtroppo, per varie ragioni giuste o ingiuste tacciono.
Credo anche che tra tanta folla di scrittori venali, il mio modesto pensiero, espresso in queste righe, non troverà, purtroppo, lo spazio per potersi diffondere. Ahimè!
Comunque queste sono le mie esperienze, che, non per vanagloria, ricordando e riflettendo con divagazione, ho voluto descrivere, perché il lettore, come ho già detto, possa trarne le sue conclusioni; se poi qualcuno ne avrà anche un piccolo beneficio per qualche sua introspezione, al fine di modificare in meglio il suo modus vitae e quello dei suoi simili, ritengo di poter dire umilmente, ma con soddisfazione, di non aver perduto l’olio e la fatica, nonché di poter concludere questo mio scritto, aggiungendo con gioia : “finis coronat opus”.
10 febbraio 2007
Tutti i miei scritti, inseriti in questo sito, sono stati pubblicati da vari Editori dal 1971 al 2014.
Commenti
Sembra la vecchia cara foto del "terzo Stato". Con la prima fila al contrario.
Diritto alla libera espressione, neanche si discute, strano è che sfila anche chi non permette questa libertà... auguriamoci cambiamenti. E altri cortei uniti per altri diritti...
Dico questo qui, perché tra le tante divagazioni e spunti nel tuo saggio intimo sfogo, una cosa mi ha colpito più delle tante parole, a volte permettimi troppo ripetute e un pochino dispersive: la sincerità e il desiderio della comunicazione positiva. Basta che arrivi questo anche solo ad una persona, e diventa importante esserci stato ...
Grazie per la storia della tua terra, per il desiderio che comunichi