La felicità è un’allegoria; l’infelicità una storia. (?)

Presentazione: componimento dedicato ad Antonia Pozzi, (Milano, 1912 - ivi, 1938), poetessa e fotografa. "Morta giovanissima, sui=ci=da, lasciò in "Parole" (raccolta postuma, 1939), le tracce di una vocazione lirica autobiografica segnata dall'influsso di Rilke". (Enciclopedia della Letteratura Garzanti). Metro etc.: tre strofi saffiche a rima alternata (ABAb, ...). Si noti l'allitterazione "gola s'ingolfa" nonché l'anfibologia dove la "gola" può essere sia la parte del corpo umano dove s'ingorgano parole ed emozioni inespresse sia la forra dove s'incanala il vento e pare raccontare saghe di epoche lontane. 

 

Perdute altezze che il tramonto

dissemina di lacrime sanguigne,

nella gola s’ingolfa il racconto

di ere ferrigne:

 

era amore, forse nostalgia

di quello che non fu mai. Fra cenge

e pareti goccia l’ombra. Fugge via

l’eco, si spenge.

 

Negli occhi distanti indovini

la tua solitudine. Sulla cresta

vibrano gli astri, glifi e destini

per chi non resta.

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Profilo Autore: Oudeis  

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Commenti  

Oudeis
# Oudeis 25-05-2025 10:02
Perché ci si vergogna di un figlio o figlia su=ici=da? Penso a due casi emblematici: la morte di Antonia Pozzi e di Gabriele Galloni. I genitori della poetessa e fotografa di Milano cercarono di accreditare la versione della di lei morte per polmonite; il decesso del poeta e narratore Galloni fu attribuito ad infarto, sebbene solo il giorno prima egli sulla pagina di una nota rete sociale non avesse escluso che un giorno o l’altro si sarebbe tolto la vita. Nel caso del poeta romano, è probabilissimo che davvero la morte sia da attribuire ad un arresto cardio-circolat orio, evento fatale purtroppo oggi assai frequente per noti motivi: si comprende che il suic=idi=o di un figlio, origine di profondissimo dolore per la perdita di chi è carne della propria carne, cuore del proprio cuore, sia occultato dietro una causa naturale, nondimeno mi sentirei di ammirare, sebbene io deplori e condanni ogni gesto estremo, l’ardimento di chi ha saputo affrontare la disperazione, il vuoto e il non-senso dell’esistenza, non indulgendo a macerarsi nella malinconia, ma con un’azione definitiva dove il coraggio di fronte all’ignoto offusca e, per così dire, trascende la viltà al cospetto della sofferenza, quando è infinitamente più vile e proditorio il destino che ti ha colpito come un sicario che credevi amico. No, non siete voi genitori responsabili di questa fine improvvisa! Non avete fallito come educatori: non rodetevi nei sensi di colpa. La colpa è di chi ha colpito per primo, non di chi si è difeso.
Oudeis
# Oudeis 25-05-2025 10:19
La poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell'anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell'arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l'immensità della morte è una catarsi della vita. (A. Pozzi)
Oudeis
# Oudeis 25-05-2025 16:12
Credo di fare cosa gradita, se pubblico qui una commovente ed iconica poesia di Antonia Pozzi. Il componimento si intitola "Nel duomo" ed è intriso di un'atmosfera mistica. Mi riservo di dedicare a questa poetessa un contributo nel forum.

Nel duomo

Sospingo una delle grevi porte
e mi cade alle spalle
la furia del meriggio ventoso.
A lenti passi m’inoltro,
bevendo l’ombra improvvisa
in lunghi battiti
delle palpebre stanche:
suonano i passi come morte cose
scagliate dentro un’acqua tranquilla
che in tremulo affanno rifletta
da riva a riva
l’eco cupa del tonfo.
Remiga la tristezza ad ancorarsi
in golfi arcani
d’oscurità profonde;
remiga per un mare favoloso,
ove sono i pilastri
tronchi d’una subacquea pineta,
viva e fitta così
per lontananze senza confine…

Brucia nella tenebra
una lucente siepe di ceri:
gli occhi vi si fissano
subitamente
e l’anima discende
dalle sperdute immensità
chiudendosi
in un nodo di fiamme.
Dinnanzi alla tremante fioritura
che chissà qual divino alito
inclina
verso il sorriso di un’antica madonna,
è immoto un bimbo.
Guarda, il piccolo, assorto,
e certo vede
nella cappella accesa
uno stupendo albero di Natale,
a cui siano fronde
le diafane dita dei ceri.
Certo sogna, il bambino,
che sian tutti balocchi
i rozzi vetri sanguigni
in cui esita un pallido lume…
Gli sbocca nei grandi occhi intenti
la piccola vita
e tutta si allarga
nella celeste immensità del sogno.
Sfocia così il tumulto
d’ogni mio male
nel riposo di un’estasi
senza confine
e l’anima ritrova la sua pace,
come un folle balzo di acque
che si plachi, incontrando
la suprema quiete del mare.

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